World Social Forum

dal nostro corrispondente in India
Gianni Manteca ‘Saràl’

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Mumbay, 16-21 gennaio 2004 — IV Forum mondiale. Milioni di persone riunite sotto lo slogan ANOTHER WORLD IS POSSIBLE, “un altro mondo è possibile”.
Guardato alla vigilia con distrazione e pessimismo dai media (e perfino da parti del movimento), è stato un evento del tutto speciale. Ma non è tanto il programma del Forum (seppure ricchissimo ed estremamente interessante) ad avere determinato l’unicità di questo appuntamento indimenticabile per quanti vi hanno partecipato. È, piuttosto, quel ‘qualcosa’ non esprimibile a parole che lo ha reso unico. L’India è davvero un paese speciale, e questa ne è stata una ulteriore dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno. Ma forse, sì, ce n’è sempre bisogno, se non altro per cercare di spazzare quell’assurda marea di luoghi comuni e pregiudizi e menzogne che in Occidente circola sull’India.
Ci si è trovati immersi in una realtà straripante e festosa (sia pur nel clima di denuncia vigorosa e senza mezzi termini), cordiale e calorosa verso chiunque (in modo sincero e sentito, senza ipocrisie e buonismi), civilmente impegnata e, soprattutto, una realtà che ha ben poche intenzioni — diversamente da quanto si crede in Europa e negli Stati Uniti d’America — di imitare il modello occidentale. Qui in India, in questi giorni, si respira un forte desiderio di denunciare e risolvere le gravi ingiustizie sociali, quali ad esempio lo sfruttamento, la diseguaglianza e la discriminazione, senza tuttavia ricorrere alle vane panacee di fabbricazione occidentale che — come noi europei sappiamo bene — hanno semplicemente spostato parzialmente le malattie che gravano sul corpo planetario (come chi, per guarire un mal di pancia, si dà una martellata sui denti!) senza curare un bel niente, e anzi ingenerando nuove malattie — prima tra tutte quella della povertà di spirito, male terribile e quasi incurabile — proprio in quelle parti del mondo che voleva guarire (dimenticandosi, tra l’altro, che il mondo è UN SOLO CORPO).
«Noi vogliamo una vita armoniosa tra le persone e la natura. Se ci limitassimo a chiedere unicamente giustizia sociale, chiederemmo solo qualcosa per l’uomo. Noi non lottiamo solo per i diritti umani, ma anche per i diritti delle piante, degli animali, di tutto», ha tuonato uno dei relatori intervenuti.
Ma la cosa straordinaria è che, accanto ai relatori ufficiali, si sono succeduti i grandi movimenti asiatici e, fatto ancora più interessante (mai verificatosi nei precedenti Forum mondiali), hanno preso la parola molti lavoratori, i contadini indiani, i bambini, le donne, raccontando le loro storie, il loro vissuto, mettendo a nudo ingiustizie acuitesi negli ultimi anni, da quando cioè il WTO ha accelerato il fenomeno della globalizzazione selvaggia. Così, per esempio, hanno preso la parola le lavoratrici di alcune piantagioni di the di alcune multinazionali: donne che sono costrette a lavorare dalle 7 del mattino fino alle 18 (e con una pausa di appena mezz’ora) per sole 21 misere rupie al giorno (qualche centesimo di euro). Donne dai diritti negati. E cinquemila bambini, accorsi da ogni parte dell’India (con i mezzi più inverosimili e improbabili) per denunciare la situazione di milioni di bambini sfruttati in tutto il mondo.
Insomma, si è trattato di un Forum storico, per usare le parole di Roberto Savio, uno dei fondatori del World Social Forum, il quale negli ultimi tempi era tutt’altro che incline all’ottimismo. Il fatto che i mass media abbiano pubblicizzato pochissimo l’evento — non soltanto prima, quando pochi credevano nella riuscita della manifestazione, ma anche mentre la manifestazione era in corso e stava riscuotendo uno straordinario successo — a nostro parere è una conferma di quanto gli ‘organi di informazione di massa’ (televisione, radio, giornali…) si stiano allontanando da un reale interessamento ai problemi della gente, per farsi sempre più effimero canale di disimpegno, di svago, di distrazione. Ci riferiamo ovviamente, ai mass media che detengono maggiore potere — sappiamo benissimo, infatti, che esistono realtà (piccole televisioni e radio locali, settimanali e quotidiani a bassa tiratura) che lavorano in modo serio, controcorrente. Ma lasciamo la parola a Roberto Savio: «Questo Forum è riuscito ad incorporare l’Asia nella costruzione della civiltà mondiale. E non è un fatto di poco conto: in questo continente si decidono gli equilibri mondiali di questo secolo. Lo definirei un Forum di un’importanza storica. Se pensiamo che tutto questo è stato fatto senza sponsor, ha del miracoloso. Il governo indiano, poi, ha consentito l’arrivo dei pachistani, dando loro il visto, dopo trent’anni di guerre, e questa è un’altra straordinaria vittoria».
Non sono mancati neppure i dissensi (sempre utilissimi, quando avvengono in modo civile), in particolare da parte degli aderenti di “Mumbay Resistance”, un movimento che giudica in maniera critica il WSF, in quanto a detta loro non affronta in maniera radicale i problemi, ma tenta solo di realizzare un qualche compromesso che non danneggi l’economia delle grandi multinazionali.
Ad ogni modo, la quantità di partecipazione è stata altissima. Solo i delegati, provenienti da ogni parte del globo, sono stati più di 50.000. Riunioni pubbliche di immense proporzioni, manifestazioni per le strade della città, più di mille seminari e dibattiti incentrati su tematiche quali la globalizzazione imperialista, la pace, il militarismo, il comunalismo, il fanatismo religioso e la violenza integralista, le discriminazioni, lo sfruttamento, le ingiustizie di ogni tipo. Tra i partecipanti, l’iraniana Shirin Ebadi (premio Nobel 2003), il premio Nobel americano Joseph Stoglitz, il palestinese Mustafa Barghouti, la canadese Maude Barlow, l’algerino Ahmed Ben-Bella, la vietnamita Nguyen Thi Binh, il francese José Bové, l’argentina Nora Cortinas, la turca Ayse Erzan, la finlandese Satu Hasi, il pachistano Pervez Hoodbhoy, il giapponese Muto Ichiyo, l’inglese George Monbit, il sudafricano Trevor Ngwane, il tedesco Wolfgang Sachs, il nepalese Durga Scope, il cileno Juan Somavia, e una marea di intellettuali indiani (come Arundhati Roy, la celebre scrittrice). E tanti, tanti, tanti altri.
E poi, i veri protagonisti: la folla di contadini indiani, fortemente impegnati contro le minacce della globalizzazione selvaggia, quali ad esempio la costruzione di dighe da parte delle multinazionali, che rende disoccupati i contadini. Non bisogna dimenticare che più della metà della popolazione indiana è costituita da contadini, i quali vedono il loro lavoro messo a rischio dagli sciacalli del WTO.
Sappiamo bene, oramai, fino a che punto la tanto conclamata filantropia occidentale sia in realtà uno strumento ipocrita e menzognero nelle mani di uomini privi di scrupoli. Basti un esempio per tutti: l’India è l’unico paese al mondo che è stato capace di produrre un farmaco per contrastare l’Aids fuori dai brevetti delle multinazionali, vendendolo ad un costo dieci volte inferiore agli altri in commercio. Ebbene, non solo le multinazionali farmaceutiche sono riuscite a impedire all’India di esportare tale farmaco, ma dal prossimo anno sono riusciti ad ottenere la proibizione per l’India di produrlo!
Allora, resta la domanda di partenza: un mondo migliore è possibile?
In un mondo come quello attuale, lacerato tra opposti estremismi, il nostro augurio sta nell’avvento di una terza via — tritîyah pantha, come direbbero gli indiani — oltre ogni ‘ismo’, senza più barriere, capace di una soluzione ALTRA, definitivamente al di là del dissidio, di ogni divisione, di ogni contrapposizione, di ogni dualità.