CENTENARIO
CGIL

- a cura del CENTRO STUDI arya -

Nel 2006 si è celebrato il centenario della fondazione del movimento sindacale in Italia.

Risulta certamente necessario porsi alcune fondamentali domande su una notevole perdita di identità del movimento sindacale italiano e europeo e sulla futura efficacia dei mezzi di lotta finora utilizzati. In ogni caso, una cosa risulta evidente: senza le organizzazioni sindacali la condizione dei lavoratori oggi sarebbe assai peggiore (basta vedere cosa sta diventando la Fiat sotto la guida di Marchionne, defenestrata la FIOM!).

In una delle sessioni congressuali organizzate dalla CGIL in vista delle celebrazioni del centenario, a Tommaso Iorco è stato chiesto di effettuare un intervento poetico-teatrale che abbiamo sbobinato e che intendiamo proporvi qui in basso.


— 21 novembre 2005 —

UN BREVE VOLO POETICO
SUL MONDO DELLA POLITICA E DEL LAVORO

di Tommaso Iorco
(autore tutelato SIAE)

Mi è stato chiesto di aprire questa giornata congressuale con un intervento poetico, così ho pensato di proporvi due differenti liriche, che possano servire di base per effettuare alcune riflessioni sulla situazione politica attuale e sul mondo del lavoro.
So che molti intellettuali — e fra questi ci sono personaggi a me cari come Maria Zambrano o Tiziano Terzani — sognano una sorta di “congiura di poeti” che possa finalmente riscattare le sorti di questa umanità. Purtroppo però devo constatare che noi oggi viviamo una situazione piuttosto paradossale, per il fatto che esistono più scrittori che lettori di poesia, sicché una simile congiura, pur considerandola estremamente necessaria, mi pare alquanto improbabile. Ben vengano dunque occasioni come questa in cui ci affidiamo, sia pur per qualche minuto, alla voce vibrante e appassionata delle Muse.
La prima lirica che vorrei offrirvi è di Pier Paolo Pasolini. Come tutti sappiamo, è stato da poco celebrato il trentesimo anniversario della sua morte e sono state fatte le congetture più ardite e, talvolta, anche le più improbabili, su come Pasolini avrebbe commentato i tempi attuali. Beh, io dico — con una punta di umorismo un po’ macabro — che se Pasolini non fosse stato ucciso trent’anni fa, ora, guardando i ceffi che compongono l’attuale governo, si sarebbe certamente suicidato, perché questi ‘signori’ sono riusciti a superare in bruttura perfino la peggiore democrazia cristiana.
Al tempo stesso, mi rendo conto che la mia è una battuta un po’ troppo sbrigativa, semplicistica — e anche un po’ manichea. Sappiamo che Pasolini era un uomo dichiaratamente di sinistra (si considerava anzi “a sinistra della sinistra”), ma sappiamo quanto sovente risultò scomodo anche ai politici di sinistra. Oltretutto, per Pasolini la parola era veicolo di provocazione, perciò credo che noi oggi gli faremmo un grave torto se cercassimo di prendere un suo testo, o anche solo se estrapolassimo una frase, o — come nella fattispecie — ascoltassimo una sua poesia con intenti di parte, faziosi. Pertanto, l’invito che vi faccio nell’ascoltare questi versi di Pasolini è di considerarli come la sintesi, efficace e forte, di una denuncia che si abbatte in modo trasversale su tutti quanti gli schieramenti e le organizzazioni.
Sentiamo dunque che cosa ha da dirci Pasolini:

Lo spirito, la dignità mondana,
l’intelligente arrivismo, l’eleganza,
l’abito all’inglese e la battuta francese,
il giudizio tanto più duro quanto più liberale,
la sostituzione della ragione alla pietà,
la vita come una scommessa da perdere da signori,
vi hanno impedito di sapere chi siete:
coscienze serve della norma e del capitale.

La seconda poesia che ho scelto è incentrata, come vi accennavo, sul mondo del lavoro. L’autore sono io e quando composi questa lirica la volli dedicare in cuor mio a tutti i lavoratori precari — che, purtroppo, con l’ultima Finanziaria sono destinati a aumentare ulteriormente.
Ma per arrivare a comprendere — a comprendere per davvero, nell’accezione più profonda del termine, cum prendere, ovvero assumere in se stessi le problematiche dei nostri simili, occorre viverle sulla propria pelle. Altrimenti possiamo immaginare, ma comprendere per davvero è tutta un’altra cosa.
E questo vale per tutte le forme di ingiustizia. Quando penso, per fare un esempio restando in ambito sindacale, a tutti quei sindacalisti nel mondo — come nel caso di alcuni paesi dell’America Latina — che finiscono in carcere per portare avanti le loro lecite rivendicazioni sindacali, o che addirittura rischiano la vita, vengono minacciati di morte, come posso io avere la presunzione di comprendere fino in fondo l’orrore di doversi confrontare quotidianamente con simili minacce?
Allora, noi che viviamo in un paese in cui non si va a finire in carcere per battaglie sindacali, un paese con una Costituzione che resta una delle migliori d’Europa, è importante che chi è impegnato sindacalmente lo faccia con sincerità e passione.
E mi piacerebbe condividere con voi la mia esperienza teatrale, perché lavorare in teatro mi ha dato la grande opportunità di accorgermi che il mondo è un grande palcoscenico. Ben sapendo che ognuno di noi indossa diverse maschere a seconda delle diverse circostanze, ho avuto la fortuna di imparare a guardare dietro la maschera, a non farmi sedurre dalle apparenze ma a guardare sempre che cosa c’è dietro. Ecco che allora risulta utile guardare al mondo come a un grande teatro (il vero guaio nasce quando qualcuno crede di trovarsi in un teatrino dei burattini, e crede di essere libero di manipolare gli altri a suo piacimento). D’altronde, nel periodo d’oro del teatro (mi riferisco al teatro occidentale), verso la seconda metà del Cinquecento, sotto la regina Elisabetta d’Inghilterra — per questo si parla di teatro elisabettiano —, il pubblico entrava a teatro e si trovava di fronte questa «‘O’ di legno», come Shakespeare la definisce poeticamente nell’Enrico V, questo palcoscenico a forma circolare e, al di sopra, campeggiava una scritta che diceva: Totus mundus agit histrionem: “tutto il mondo è attore”. Fa bene guardare il mondo come fosse un immenso palcoscenico — ne nasce un senso di distacco e di salutare auto-ironia.
Ed è proprio in un momento di poetica auto-ironia che è nata la poesia che ora vi propongo. Si tratta di una composizione lirica che a un primo ascolto può risultare un po’ complessa, perché contiene due o tre livelli di interpretazioni sovrapposti e perciò, per darvi una chiave immediata di lettura, vi anticipo che vi apparirà chiara solo alla fine, negli ultimissimi versi. Il titolo è “L’Opera al Rosso”, con un chiaro riferimento alchemico.

Ho soggiornato a Eliopoli, ho eretto
un vastu-mandala in onore a Shiva,
ho pianto e riso in una notte orfica
che la mia cetra ha dischiuso dal basso.

Scacciato da Milano con l’astuzia,
ho stazionato in isole serene,
coccolando Miranda nell’attesa
d’ottenere giustizia, non vendetta.

Ho udito le Sirene, sono io
che ho spiccato la testa di Medusa,
trafiggendo la tenebra e l’inferno
ho saccheggiato i cieli distribuendo

i suoi tesori a porci e cavallette,
e dai dorsali scolpiti a Mamalla,
sono disceso nell’oceano in basso,
giù nelle cave della luce eterna.

Dopo avere donato il fuoco all’uomo
e patito per ciò spasimi atroci,
sono stato bruciato ancora vivo,
tacciato d’eresia, io, Anyapantha.

E adesso sono un modesto impiegato
in una fabbrica di pere cotte,
ho acceso un mutuo, ho un conto in banca, un’auto,
e un capufficio vessatore e sciocco.


STRAGE DI SINDACALISTI