UNA SANTIFICAZIONE MEDIATICA

di Lucio Garofalo

Di fronte a un’imponente campagna di esaltazione e santificazione mediatica condotta su scala planetaria, confesso di essermi sentito profondamente a disagio, nella misura in cui ho avvertito una scarsissima considerazione verso chiunque fosse non credente, ateo, agnostico, oppure ebreo, musulmano, o comunque non cattolico, quasi fossimo andati a ritroso nel tempo fino a precipitare nuovamente nell’epoca dello Stato pontificio e del potere temporale dei papi. In nome del papa-re…

Pertanto, da buon eretico oso sfidare l’ira nazional-popolare, procedendo controcorrente e provando, se possibile, a esprimere un punto di vista nettamente discorde rispetto al clima di conformismo neoguelfo e filoclericale che si è diffuso negli ultimi giorni a livello mediatico.

In effetti, un papa che si è rivelato sin dall’inizio del suo pontificato estremamente abile nell’usare la forza persuasiva dei mass-media, si è confermato tale anche al momento della sua morte, quando gli è stata tributata una vera apoteosi. Abbiamo assistito a un’orgia di ipocrisia mediatica, a un incessante bombardamento apologetico teso a osannare la figura del papa, censurando ogni intento di analisi storica serena, lucida, razionale, libera e sincera. In un simile contesto di fanatismo celebrativo è parso difficilissimo, se non impossibile formulare un qualsiasi giudizio critico.

Certo, è superfluo precisare che tutti noi abbiamo nutrito un senso di rispetto nei confronti della morte (dignitosa) di una persona che ha rivestito un certo ruolo negli ultimi 27 anni di storia. Occorre riconoscere i meriti di Wojtyla, il quale si è dimostrato uno strenuo paladino della pace, soprattutto in tempi avversi come il 1991, durante la prima guerra nel Golfo persico, quando le parole del papa si imposero come l’unica voce contraria a quella sporca guerra. Non dimentichiamo che il ’91 fu l’anno in cui, dopo la caduta del muro di Berlino e dei regimi autoritari e burocratico-oppressivi dell’Est europeo, prese il sopravvento il cosiddetto “nuovo ordine mondiale” retto sulla superpotenza statunitense governata da Bush padre, e fu consacrato il dogma neoliberista del “pensiero unico”.

È indubbio che il pontificato di Giovanni Paolo II è stato segnato da eventi mediatici di portata globale, come il succitato crollo del “socialismo reale”, alla cui causa diede un contributo politico-ideologico proprio Wojtyla, che non ha risparmiato aspre critiche nemmeno all’economia neoliberista, ovvero al cinismo spietato, disumano e affaristico del capitalismo selvaggio.

Nondimeno, un bilancio onesto e obiettivo sul pontificato quasi trentennale di Wojtyla, non può ignorare il carattere ambiguo e controverso che emerge dall’opera e dalla figura di tale papa. Un papa la cui voce è stata ascoltata soprattutto dagli umili, molto meno (quasi per nulla) dai potenti che oggi piangono lacrime di coccodrillo. Un papa che non ha esitato un attimo a stringere la mano a un dittatore sanguinario come Pinochet, durante la sua famosa visita in Cile nel 1988; un papa che ha condannato la “Teologia della Liberazione” e la Rivoluzione Sandinista in Nicaragua. Un papa che ha cercato di coprire le gravi responsabilità vaticane nello scandalo del Banco Ambrosiano, a cominciare da quelle del potente cardinale Marcinkus, presidente dello Ior, la banca vaticana. Insomma, Wojtyla è stato un monarca nel bene e nel male, con tutti i pregi e i difetti dei monarchi del passato. Un monarca il cui regno ultraventennale è stato scandito da elementi contraddittori. Infatti, sul versante della politica estera l’opera del papa è stata sovente ispirata da ideali evangelici, è stata guidata da ragioni nobili e progressiste, da principi di civiltà, libertà e di emancipazione dei popoli. Invece, sul fronte interno alla chiesa cattolica, l’azione del pontefice ha espresso monarchicamente (ossia verticisticamente e dogmaticamente) posizioni di conservazione e restaurazione integralista, di oscurantismo medioevale, soprattutto nel campo degli inalienabili diritti al divorzio e all’aborto, in materia di sessualità e di comportamenti che oggi sono diventate abitudini largamente assunte dalla coscienza occidentale, che è comune a milioni di uomini e donne, anche di fede cattolica.

Non si può negare che su tali temi l’atteggiamento della chiesa governata da Wojtyla è stato palesemente retrivo, misoneista, omofobico e sessuofobico, assolutamente cieco e incapace di adeguarsi alla realtà  secolare dei costumi odierni.

Aprile 2005