Kampilya
un progetto archeologico italo-indiano

- a cura del centro studi arya -

Un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Studi sull’Asia orientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e della VAIS (Venetian Academy of Indian Studies) ha formulato un’ipotesi estremamente suggestiva che ha dimostrato la sua veridicità grazie alle analisi di ‘remote sensing satellitare’ condotte da parte dei ricercatori del CNR-IRPI (Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per il Recupero e la Protezione Idro-geologica) di Padova, una associazione a scopi non lucrativi presieduta dal dottor Marcolongo. Si tratta della scoperta del sito di Kampilya, un centro protostorico della cultura post-vedica di cui si parla nel Mahabharata e scomparso dalle cartine geografiche una quindicina di secoli fa, sopravvivendo soltanto nella leggenda.
Questa scoperta, effettuata nella pianura gangetica, ha ulteriormente convalidato la tesi secondo cui non avvenne alcuna invasione “ariana” in India. Si è partiti da uno studio comparato tra elementi filologici, storici e mitologici con la lettura delle immagini satellitari prodotte dal sensore LISS-II del satellite indiano IRS-1B, al fine di ricostruire le vicende idrogeologiche del Gange nelle diverse epoche, e giungendo quindi alla elaborazione di un modello di predizione sul posizionamento di antichi abitati nei terrazzamenti alluvionali lungo il Gange.
Fin dal primo sopralluogo, avvenuto nel 1993 — su invito del Pancala Research Institute di Kanpur —, l’ipotesi si è rivelata del tutto esatta, permettendo la scoperta di un vasto complesso urbano nei pressi del villaggio di Kampil nel distretto di Farrukhabad, nell’Uttar Pradesh, al centro della valle gangetica, corroborando così le intuizioni del generale Alexander Cunningham (1878), cui fecero seguito gli studi del dott. B.B. Lal (1955) e del dott. V.N. Misra (1961). Un numero pressoché infinito di frammenti di terracotta riemersero. Subito dopo, la situazione apparve assai più complessa di quanto si poteva prevedere. Il 6 febbraio del 1996, una spedizione sotto la direzione del dottor Marcolongo e del dottor Gian Giuseppe Filippi, rintracciò la presenza della muraglia di una città fortificata. Nelle missioni archeologiche successive, avvenute nel 1997 e nel 1999, emerse la forma rettangolare del sito, con lati di 780 per 660 metri, racchiuso da una cinta muraria regolare. Questo complesso è chiamato ‘Drupad Kila’, ovvero la fortezza del re Drupad, sovrano della Kampilya cui si fa riferimento nella grande epopea di Vyasa.
Gli elementi scientifici raccolti e le analisi compiute rivelano più fasi di inurbamento, databili tra il V-VI secolo a.C. e il IV-V secolo d.C., e fanno presupporre la possibilità di retrodatare i primi insediamenti del sito oltre il X secolo a.C., rendendo così ancora più plausibile l’assimilazione di Drupad Kila con la Kampilya del Mahabharata. Ma la cosa di gran lunga più sorprendente consiste nella scoperta che la sua struttura è identica a quella di un’altra città distante circa 1.300 chilometri da Kampil: Dholavira, nell’attuale Gujarat, i cui scavi sono avvenuti sotto la direzione del dott. Bisht, il quale riconosce la perfetta coincidenza delle due città che presentano una differenza temporale di due millennî! Dholavira risale infatti al III millennio a.C., quando non era affatto possibile che gli “ariani” fossero entrati in India.
Nel 1998 si sono uniti al team gli archeologi della IAS (Indian Archeological Society) di New Dehli. Il 7 gennaio 1998 la scoperta venne presentata in modo ufficiale dai due direttori della missione alla presenza del Primo Ministro italiano Romano Prodi durante la sua visita ufficiale in India, presso il palazzo presidenziale di New Dehli. E tuttavia, i media italiani non hanno dato alcun rilievo a questo evento di importanza enorme, che riguarda le scaturigini di quella grande civiltà eurasiatica (o indoeuropea, che dir si voglia) di cui l’attuale Europa è una forma.
Nel 1999, l’Archeological Survey of India ha concesso un permesso ufficiale di scavo (il primo ottenuto da un’équipe italiana dopo quello della spedizione di Giuseppe Tucci nel 1950). Grazie ai fondi provvidenziali giunti da uno sponsor privato, una nuova missione italo-indiana, assistita dall’Indian Archeological Society venne condotta fra gennaio e febbraio del 2000, raggiungendo risultati notevoli, come la scoperta dei resti di due cospicui edifici in mattoni del XII secolo a.C. e, attraverso l’analisi di nuove immagini satellitari, l’individuazione nell’area di altri cinque siti minori. L’avanzamento delle indagini geo-archeologiche, l’approfondimento degli altri elementi scientifici di comparazione e datazione dei reperti, l’analisi dei metodi costruttivi e la prosecuzione della ricerca etnologica e antropologica stanno fornendo un tassello fondamentale per svelare la continuità esistente tra la civiltà dell’Indo-Saraswati e quella gangetica. Sappiamo infatti che verso il XIX secolo a.C. il fiume Saraswati, di cui si parla abbondantemente nel Rig Veda, subì un prosciugamento (una cui prima fase viene già testimoniata nel Mahabharata) che costrinse gli abitanti della vallata a spostarsi nel bacino del Gange. Non avvenne quindi un’invasione che distrusse la civiltà dell’Indo-Saraswati e che creò la civiltà del Gange, come alcuni faziosi europei dell’Ottocento congetturarono (al fine di giustificare il colonialismo britannico), poiché si tratta di una medesima civiltà che si è trovata costretta a spostarsi da una valle all’altra a causa di mutamenti geografici.
Dopo un importante simposio tenuto a Padova nel mese di giugno del 2000, il team composto dagli studiosi del Ca’ Foscari di Venezia, del CNR di Padova, del VAIS onlus, e del Pancala Research Institute di Kanpur hanno progettato un ampliamento delle ricerche su un territorio più vasto e con un approccio multi-disciplinare che si avvale dell’utilizzo delle nuove tecnologie. Il primo passo consiste nella realizzazione di un data-base con un GIS (Geographic Information System) di tipo avanzato al fine di tracciare una mappa integrata della zona e intervenire in vari ambiti, compreso quello agricolo e medico, come garantisce un accordo con Medecins du Monde.
Tutto ciò, nel silenzio imbarazzante dei media e di molti indologi, non disposti a riconoscere che la stessa indologia è nata con intenti sciovinisti e colonialisti.

Maggio 2004