SVILUPPO SOSTENIBILE

(a cura del CENTRO STUDI arya)

Per molto tempo, l’aumento del volume di beni e di servizi e la crescita della qualità della vita hanno camminato fianco a fianco. Non è più così oggi. In molti paesi industrializzati, la crescita del prodotto interno lordo (PIL) non corrisponde più a un aumento del benessere della popolazione.
Per l’orientamento unilaterale dell’economia e della politica alla crescita, alla globalizzazione e all’accelerazione, paghiamo un prezzo che va dal degrado ambientale alle malattie di ogni tipo. Sicché, non soltanto le risorse naturali vengono pericolosamente erose, ma anche il tessuto sociale.
Questo l’assunto di partenza dell’ormai celebre studio effettuato dall’Istituto Wuppertal per il clima, l’ambiente e l’energia, pubblicato nel 1995 (dal titolo Futuro sostenibile); tale analisi, fondendo il rigore scientifico con l’ispirazione ambientalista, ha suscitato un forte impatto politico e sociale, stimolando la riconversione ecologica in molti paesi europei (soprattutto nordici, da sempre più attenti e sensibili a tali problematiche).
Oramai, molti dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” (l’India e la Cina, ad esempio, che da soli ospitano circa un terzo della popolazione mondiale) non potranno raggiungere i nostri livelli di consumo senza danneggiare gravemente l’ecosfera. Per questo è fondamentale che le nazioni più ricche abbiano il coraggio di adottare un modello di sviluppo che impieghi molte meno risorse. Solo così esse potranno fornire l’esempio e il ‘know-how’ tecnologico che permetteranno ai paesi in via di sviluppo di crescere senza dover percorrere gli errori dei paesi industrializzati occidentali, la qual cosa metterebbe seriamente in pericolo il già fragile ecosistema, oppure esaurirebbe le risorse. Giacché, per dirla con Hermann Daly (uno dei più arguti economisti della sostenibilità), «se aumentiamo gradualmente il carico di una nave, possiamo anche cercare di distribuirlo in modo ottimale. Ma a un certo punto la nave affonderà, anche se avremo la consolazione di un affondamento ottimale». Occorre pertanto liberare la stiva da tutti quei vecchi marchingegni obsoleti e farraginosi che tendono a sfruttare le risorse in maniera eccessiva e superiore alle effettive necessità.
E proprio a questo risultato punta lo “sviluppo sostenibile”, sebbene tale modello si scontri con il sistema attuale, in cui è evidente il dominio degli interessi economici di parte sulle politiche nazionali e internazionali. Se così non fosse, infatti, risulterebbe del tutto incomprensibile — anche da un punto di vista prettamente economico — la resistenza dei maggiori paesi industrializzati (Stati Uniti d’America in testa) a ridurre in modo deciso le proprie emissioni globali di carbonio, dato che gli eventi climatici estremi da essi in buona parte causati (alluvioni, tornado, perdita di combustibile in mare da parte delle petroliere, effetto serra, ecc.) provocano enormi costi finanziari e sociali.
“Sviluppo sostenibile” è dunque il modo con cui viene ormai definito quel modello di sviluppo che dovrebbe essere orientato a soddisfare al meglio le necessità di chi oggi vive sul pianeta, senza compromettere l’ecosistema mondiale. Tale concetto fondamentale nasce dal riconoscimento che i problemi di politica ambientale non possono essere affrontati separatamente dallo sviluppo economico e sociale; si rivela cioè necessario un approccio unitario, in cui ambiente e sviluppo siano viste come le due facce di una stessa medaglia.
Allo stato attuale delle cose, tutto il capitale viene investito per cercare di razionalizzare i costi riducendo il lavoro umano; sarebbe invece assai più opportuno e intelligente cercare di ridurre i consumi energetici, lasciando il lavoro alle persone. L’ideale sarebbe, ovviamente, ridurre entrambi al fine di diminuire l’orario lavorativo delle persone, lasciando beninteso immutato il loro salario, cosicché gli uomini conoscerebbero un notevole accrescimento in termini di qualità della vita. Ma, purtroppo, dobbiamo fare i conti con la cruda realtà: chi detiene i grandi capitali non è per nulla disposto a rinunciare allo strapotere di una esagerata e vanagloriosa ricchezza. Se oggi gli imprenditori riescono a ridurre consumi e lavoro, ciò va a esclusivo vantaggio del bilancio aziendale, e quindi degli imprenditori medesimi.
D’altra parte, dobbiamo constatare che i sistemi socialisti, tesi ad attuare una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza, finora sono miseramente falliti, creando regimi totalitari basati sulla uniformità e sull’appiattimento verso il basso. Dobbiamo insomma riconoscere che l’attuale stato di coscienza dell’umanità, nel suo insieme, rende impossibile soluzioni di maggiore benessere sociale. Per dirla in modo più semplice (forse in modo più banale ma certamente più efficace), il povero, diventato ricco, diventa preda degli stessi meccanismi meschini e opportunistici, di sfrenata e insensata avidità, cui i ricchi sono succubi. È triste, ma questa è l’amara realtà, ci piaccia o no.
Che fare, dunque?
Rinchiudersi nel qualunquismo, nel cinismo o nella rassegnazione non serve che a rafforzare in sé quello stesso cieco egoismo che tarla e corrode i cosiddetti ‘potenti’. L’unica soluzione, per quanto difficile possa sembrare o effettivamente essere, ci pare consista nel mettersi all’opera, individualmente, al fine di sradicare da sé quegli impulsi triviali e egoici (ancor prima che egoistici) che sono attualmente presenti nella natura umana e che rendono impossibile un’autentica ricchezza, una vera prosperità, un più genuino e più ampio godimento dell’esistenza. Giacché solo allargando la nostra coscienza a dimensione universale (e, possibilmente, oltre ancora) possiamo assaporare e godere la pura Gioia d’essere, assoluta e senza limiti. Arrivando a identificarci con il tutto, saremo in grado di vivere nel nostro centro individuale con pienezza, capaci finalmente di amare e comprendere totalmente ogni singolo frammento di questo grandioso universo, diventato in tal modo parte del nostro stesso essere.
Nel frattempo, contemporaneamente, possiamo e dovremmo fabbricare motori che inquinino e consumino meno, migliorando la qualità della vita nostra e di coloro che non considereremo più come i nostri simili, ma come gli altri innumerevoli divenire del nostro più vero Sé (includendo, pertanto, tutte quante le forme di vita, animate o inanimate).
È un errore di calcolo di stampo marxista ritenere che il benessere dell’umanità si possa ottenere tramite la realizzazione di adeguati strumenti politici, di livellamenti economici e di sia pur sacrosante conquiste sociali. L’essere umano non è soltanto (né principalmente) un animale economico: egli è un’anima viva, un essere in evoluzione che procede verso una sempre maggiore coscienza. Dimenticare questo fatto significa trascurare l’essenziale e concentrarsi esclusivamente sul particolare — e, così facendo, nessuna soluzione si rivelerà mai veramente efficace e risolutiva. In definitiva, uno sviluppo realmente ‘sostenibile’ non può essere sospeso nel nulla, né poggiarsi su meri principî ecologici o morali (sempre precari e fallibili): le sue basi devono essere saldamente radicate sulle verità più profonde della vita e della coscienza.

Aprile 2003