Mândukya Upanishad

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Verso 1
omitietadaksharamidam sarvam tasyopavyâkhyânam
bhûtam bhavad bhavishyaditi sarvamomkâra eva;
yaccânyat trikâlâtîtam tadapyomkâra eva.

«OM è la Parola imperitura; OM è l’universo; e questa ne è l’esposizione. Il passato, il presente e il futuro, ciò che è esistito, che è e che sarà, è OM. Tutto ciò che esiste oltre i limiti del tempo, è pur esso designato da OM».
La Mândukya Upanishad analizza, nella compatta brevità dei suoi 12 versi, gli stati molteplici dell’Essere, correlati alle differenti condizioni della coscienza umana, attraverso la scomposizione del monosillabo OM, nelle sue tre lettere A (‘stato di veglia’), U (‘stato di sogno’), M (‘stato di sonno profondo’), trascese dalla pura risonanza nasale (anuswara), cioè dal punto che nella scrittura devanâgarî indica lo sfumare della M in un mormorio — il suono puro che simboleggia il cosiddetto ‘quarto stato’, che è quello dell’ineffabile Assoluto.
Si tratta di un percorso di discesa metodica e progressiva dentro di sé allo scopo di scoprire le proprie profondità, nascoste all’ordinaria coscienza di veglia. L’intera mistica indiana afferma che la Divinità universale e trascendente che si manifesta quaggiù in ogni fenomeno, l’Uno che determina la Molteplicità cosmica sommando all’infinito la propria unità, dimora «nei recessi della vita, nel cuore delle cose, nella grotta dell’essere» (Katha Upanishad, I.2.12). La Mândukya traccia alcune illuminanti coordinate — le principali — di questo percorso interiore conducente al Sé originario di tutto e al di là di tutto. Infatti, da tale stato di veglia, mediante il potere di una concentrazione chiara e vigorosa, a un tempo statica e dinamica, il ricercatore spirituale si immerge negli spazi luminosi del sogno e, successivamente, scende ancora più nel profondo venendo a contatto con la Coscienza-Forza solare che trae la propria origine dalla suprema Gioia divina. Infine, oltre ancora, sbocca in un puro etere nel quale non esiste ombra di dualità, ma solo un eterno Infinito di beatitudine senza limite, ineffabile e incondizionato.
Verso 2
sarvam hyetad brahma ayam âtmâ brahma so’yam âtmâ catushpât.

«Tutto questo universo è il Brahman; questo âtman è il Brahman, e l’âtman è quadruplice».
È importante questo verso per comprendere l’intero testo dell’Upanishad: l’Assoluto Supremo non è soltanto Trascendenza, è anche le altre condizioni dell’essere; è sempre Lui che vede Se stesso nei diversi stati di coscienza, pur superandoli tutti — superando quindi perfino il proprio stato di esclusiva trascendenza. Nulla può limitare Quello, nulla può circoscriverlo né definirlo. L’Essere è la sua realtà sostanziale, il Divenire la sua realtà operativa. E il Divenire non sminuisce affatto il suo Essere — come recita un celebre versetto sanscrito che pare uno scioglilingua o una filastrocca, «Quello è pieno; questo è pieno. Dal pieno si attinge il pieno. Attinto il pieno dal pieno, il pieno rimane pieno», pûrnamadah pûrnamidam pûrnât pûrnamudacyate | pûrnasya pûrnamâdâya pûrnamevavasishyate.
A questo punto la Mândukya entra nel vivo e offre l’analisi dei quattro stati di coscienza sperimentabili direttamente attraverso l’esperienza yogica. Si parte dal più grossolano per arrivare al più sottile. Lo stato definito ‘di veglia’, jâgrat, è la condizione in cui si è consapevoli del mondo esterno attraverso i sensi fisici.
Verso 3
jâgaritasthâno bahishprajñah saptânga ekornâmvashatimukhah sthûlabhug vaishvânarah prathamah pâdah.

«Colui che ha come sede lo stato di veglia, che possiede la conoscenza degli oggetti esteriori, dotato di sette membra e diciannove porte, che fruisce del mondo materiale, Vaishvânara, è il primo».
È la coscienza oggettiva ordinaria in cui vivono generalmente gli esseri umani (vaishvânara letteralmente significa «che è comune a tutti gli uomini»). Le sette membra sono gli strumenti mediante i quali l’essere è consapevole di sé e della propria persistenza, mentre le diciannove porte costituiscono le aperture mediante le quali prendiamo coscienza del mondo esterno e entriamo in contatto con esso, ossia i cinque organi di percezione sensoriale, le cinque facoltà di azione, i cinque soffi vitali, il mentale (manas), l’intelletto (buddhi), la mente sensoriale (citta), il senso dell’ego (ahamkâra).
Lo stato cosiddetto ‘di sogno’, swapna, è caratterizzato dall’esperienza dei piani sottili dell’esistenza, che per la coscienza di veglia sembrano non possedere la realtà concreta dei fatti dell’esistenza fisica, ma che in realtà sono mondi altrettanto reali e concreti di quello materiale.
Verso 4
svapnasthâno’ntahprajñah saptânga ekornâmvashatimukham praviviktabhuk taijaso dvitîyah pâdah.

«Colui che ha come sede lo stato di sogno, che ha la conoscenza degli oggetti interiori, dotato di sette membra e diciannove porte, che fruisce degli oggetti sottili, Taijasa, è il secondo».
È l’interno abitatore “luminoso” (taijasa), colui che ha la conoscenza dei piani sottili dell’esistenza: il fisico sottile, i mondi del vitale, quelli del mentale.
Lo stato che viene definito ‘di sonno profondo’, sushupti, corrisponde invece allo stato di trance yogica, in cui il soggetto e l’oggetto sono uno.
Verso 5
yatra supto na kancana kâmam kâmayate
na kancana svapnam pashyati tat sushuptam
sushuptasthâna ekî-bhûtah prajñânaghana evânandamayo hyânndabhuk cetomukhah prâjñâstritîyah pâdah.

«Quando l’essere dormiente non prova più desiderî, né è soggetto a sogni, allora si ha la condizione di sonno profondo. Colui che dimora nel sonno profondo, e che in questo è diventato uno, che è conoscenza raccolta in se stessa, che è costituito da pura beatitudine, che ha la beatitudine come campo di esperienza, la cui mente cosciente è la porta, Prâjña, è il terzo».
Prajña rappresenta la Conoscenza suprema, la conoscenza del Supremo. Prajña — ci dice Gaudapâda nella sua Mândukya-karikâ — è detto così poiché possiede la conoscenza essenziale, ghanaprajñâ.
Verso 6
esha sarveshvara esha sarvajña esho’ntaryâmyesha yonih sarvasya prabhavâpyayau hi bhûtânâm.

«Esso è il Signore di tutto, l’Onnisciente, l’ordinatore interno, matrice dell’universo, l’origine e la fine di tutte le creature».
È la divina Gnosi, la coscienza-di-Verità situata oltre il dominio del triplice emisfero inferiore anna-prâna-manas (corpo-vita-mente).
Il “quarto stato”, turiya, ineffabile e assoluto, è l’origine dei tre, trascendente su tutti.
Verso 7
nântahprajña na bahishprajña nobhayatahprajñam na prajñânaghanam na prajñam nâprajñam;
adrishtam asyavahâryamagrâhyama lakshanamacintyamavyapadeshyamekâtmapratyayasâram prapancopashamam shântam shivam advaitam
caturtham manyante sa âtmâ sa vijñeyah.

«Il Quarto non è estroverso né introverso, né contemporaneamente dentro e fuori, non è conoscenza raccolta in se stessa, non possiede la conoscenza né la non-conoscenza, è invisibile e incomprensibile, indefinibile, impensabile, indescrivibile, l’unica essenza della conoscenza dell’âtman, senza alcuna traccia fenomenica; è pienezza di pace e di beatitudine senza dualità: questo è in verità l’Âtman, questo è l’oggetto della conoscenza».
Nulla può designarlo né racchiuderlo, nessuna qualità può limitarlo. È la coscienza della pura esistenza in sé con cui generalmente non abbiamo alcun rapporto diretto, anche se ne riceviamo qualche riflesso mentale nella coscienza di sogno e in quella di veglia o, senza speranza di poterla utilizzare, nella nostra coscienza di sonno profondo. Questa scala di quattro gradini corrisponde alla scala dell’Essere mediante la quale saliamo al Divino. L’individuo, comunemente, è cosciente solo della condizione in cui percepisce attorno a sé il mondo materiale, mentre perde sempre più coscienza entrando nelle successive condizioni, laddove — al contrario — lo Spirito si attua come crescente coscienza di sé. Lo yogi, restando perfettamente desto, penetra gli strati subliminali e sovracoscienti, realizzando la propria integrazione con la Coscienza e con l’Essere assoluto ed eterno, e restituendo pertanto ai varî livelli di coscienza la loro reale funzione quali forme e involucri dello Spirito.
Verso 8
so’yamâtmâdhyaksharamonkâ ro’dhimâtram pâdâ mâtrâ mâtrâshca pâdâ akâra ukâro makâra iti.

«Egli è l’Atman, è il Verbo imperituro, è OM; e ogni lettera è una sua parte: A, U, M».
Verso 9
jâgaritasthano vaishvânaro’kâroh prathamâ mâtrâ âpterâdimattvâd vâ âpnoti ha vai sarvân kâmânâ dishca bhavati ya evam veda.

«Vaishvânara, la cui sede è lo stato di veglia, è designato dalla prima lettera, la A, a causa della sua connessione con ciò che ha inizio e si espande. Colui il quale così conosce, consegue tutti gli oggetti di desiderio: ne diventa la sorgente e l’origine».
Il sanscrito âdi significa per l’appunto “inizio”, “principio” dell’alfabeto e del monosillabo AUM. Similmente, Vaishvânara costituisce l’origine e il fondamento su cui si fonda il conseguimento (âpti) del Sé.

Verso 10
svapnasthânastaijasa ukâro dvitoyâ mâtrâ uktarshâbhayanvâd vâ uktarshati vai jñânasarntati ha vai jñâmânashca samânashca bhavati nâsyâbrahmavit kule bhavati ya evam veda.

«Taijasa, la cui sede è lo stato di sogno, è designato dalla seconda lettera, la U, in correlazione con avanzamento e centralità; chi in tal modo conosce, raggiunge il flusso ininterrotto di conoscenza e si eleva oltre l’indifferenza: nessuno dei suoi semi sarà privo della conoscenza del Brahman».
La lettera U è collegata a utkarsha, “avanzamento”, “elevazione”, superamento della dualità e degli opposti, giungendo a realizzare la qualità ubhaya, ovvero la conoscenza di entrambi i mondi: il materiale e il sottile.

Verso 11
sushuptasthânah prâjño makârastritîyâ mâtrâ miterapotervâ minoti ha vâ idam sarvamapîtishca ya evam deva.

«Prâjña, la cui sede è lo stato di sonno profondo, è designato dalla terza lettera, la M, a causa della connessione con misura e finalità; colui che conosce l’universo in se stesso come misura diventa, in realtà, onnipenetrante».
Il termine sanscrito mâna, “misura”, qui è chiaramente da intendersi come misurazione conoscitiva dei mondi.

Verso 12
amâtrashcaturthe’vyavahâryah prapanciopashamah
shive’dvaita evamonkâra âtmaiva samvishatyâtmanâtmânam
ya evam veda ya evam veda.

«Il Quarto stato è incommensurabile, non agente, al di là della manifestazione; è il Sommo Bene, l’Uno senza secondo: è OM. Colui il quale così conosce, diventa l’Âtman, e mediante il proprio âtman penetra nell’Âtman — colui il quale così conosce».
Nel Sé, il Sé è conosciuto per mezzo del Sé —âtmanyâtmanamâtmanâ. Si perviene alla conoscenza dell’Assoluto e, alla sua luce, anche il relativo assume la propria vera dimensione quale manifestazione dello Spirito.