IL MERCATO ALIMENTARE

a cura della redazione del sito arianuova.org


«In nella cosa morta riman vita, la quale ricongiunta alli stomaci de’ vivi, ripiglia vita intellettiva e sensitiva» diceva il grande Leonardo con la sua consueta profondità di visione. E oggi, comprensibilmente, l’individuo si preoccupa sempre più della qualità degli alimenti che ingerisce.
Ma, ancor prima, bisognerebbe occuparsi dei pericoli legati agli enormi interessi economici che ruotano attorno al mercato alimentare: se gli interessi lucrativi prevalgono sulla volontà di offrire un prodotto ‘onesto’ (l’accezione del termine apparirà chiara nel corso della lettura del presente articolo) e di qualità, infatti, i generi alimentari saranno sempre in pericolo e fonte di preoccupazione anziché di sano nutrimento del nostro organismo fisico.

Sappiamo tutti, ormai, che l’acqua e i generi alimentari giocano un ruolo determinante nell’assetto globale che va delineandosi sul nostro pianeta. Negli anni Settanta i cosiddetti “figli dei fiori” sognavano la ‘rivoluzione del filo di grano’. Oggi, tutto si ribalta in modo preoccupante: acqua e cibo diventano sempre più prodotti politici. Politico è infatti il modo in cui si cerca di controllarli, manipolarli, sfruttarli.

Gli speculatori finanziari di tutto il mondo guardano l’acqua e gli alimenti con crescente interesse e accanimento.
I prezzi delle materie prime alimentari stanno crescendo rapidamente, anche a causa dei consigli dati dai maggiori speculatori a investire nei beni di origine agricola: zucchero, mais, grano e caffè, eccetera.
Il principio ispiratore è abbastanza semplice: in presenza di un eventuale tracollo mondiale dell’economia, i beni agricoli non saranno influenzati poiché la gente deve pur continuare a nutrirsi! Acciaio, ferro, nickel possono anche soffrire un calo dei prezzi; ma la gente andrà comunque a comperare pane, verdure, cereali…
Dunque, è facile presumere che quegli stessi speculatori che si sono resi responsabili dell’attuale collasso finanziario, siano dietro alla corsa al controllo delle risorse alimentari del pianeta, causando un aumento vertiginoso dei relativi prezzi.
Per usare il linguaggio degli stessi speculatori, i prezzi delle risorse agricole sono “attraenti”. Si sta già parlando, nell’ambiente dei broker, di un raddoppio del prezzo dello zucchero previsto nei prossimi mesi.
Un gallone di latte al dettaglio, negli Stati Uniti, è cresciuto di più del 15% in soli sei mesi ($3.29 a gennaio 2007 — $3.80 dollari a luglio 2007). Altri prodotti alimentari hanno subito degli aumenti addirittura del 50%. In Francia, i prezzi del latte sono cresciuti del 5-10%. Nel Paese che è massimo produttore di latte a livello europeo, la Germania, il prezzo del burro è cresciuto nel mese di luglio da € 0.79 a 1.19, mentre quello del formaggio fresco del 40%. In Italia la De Cecco ha già annunciato un rincaro dei prezzi della pasta del 20% a settembre a causa del rincaro del prezzo del grano duro del 50%.
L’inflazione del latte è indicativa del paniere alimentare, che contiene anche farinacei, carni, dolciumi, ecc.
Il tasso di inflazione sul cibo per il primo semestre del 2007 negli U.S.A. supera il tasso annuo riscontrato nel 2006.

Le organizzazioni di soccorso mondiali stanno riducendo le proprie forniture di cibo destinato all’assistenza degli affamati, poiché i loro fondi non sono sufficienti a comprare beni divenuti improvvisamente più costosi. A una conferenza sulla povertà tenuta a Manila agli inizi di agosto, si è discusso infatti della minaccia di aumento delle vittime della fame.

I media, ormai sottoposti a un controllo globale sempre più preoccupante (e tanto più nefasto quanto più celato), cercano di far cadere tutta la responsabilità sulla Cina, perché intenta a sottrarre dai mercati internazionali tutto il cibo disponibile, sia in termini di volumi, sia in termini di tipologie (nuove per i consumatori cinesi, abituali per noi: yogurt e altri prodotti caseari).
Tuttavia, anche se la produzione agroalimentare cinese ha una sua dimensione innegabile in questo panorama, si sta fornendo un’immagine volutamente distorta dell’intero problema.
La storia si compone anche di altri aspetti. Ricordiamone alcuni.

In base ai più recenti trattati, le nazioni sono costrette a porre fine alle loro politiche di accumulo delle riserve di frumento, per affidarsi invece ai “mercati mondiali”. Così, le riserve di grano e riso sono in sensibile calo.

I produttori di latte e latticini sono stati posti, progressivamente e in numero crescente, in condizioni di non poter più lavorare, osservando un incremento dei costi di produzione e un abbassamento dei prezzi imposti al loro latte fresco. In Francia, a fronte di 3,8 milioni di capi gestiti da circa centomila allevatori, circa cinquemila addetti ogni anno abbandonano l’attività, alla ricerca di lavori meglio pagati e meno pesanti. Nel contempo, in giro per il mondo sono stati costruiti allevamenti e fattorie che ospitano lavoratori in condizioni di quasi schiavitù: Haiti e lo stato dello Idaho sono due esempi di regioni selezionate per costituire la “fornitura globale” di alcuni alimenti.

C’è, poi, la cosiddetta “guerra dei brevetti”. Una vera e propria guerra, che sotto molti aspetti appare la continuazione aggiornata delle guerre colonialiste iniziate cinquecento anni fa.
Non a caso, Cristoforo Colombo ai suoi tempi portava con sé dei documenti che venivano per l’appunto chiamati “brevetti” e che davano il potere di rivendicare la proprietà dei territori che si scoprivano in qualunque parte del mondo che non fossero già sotto il dominio di governanti cristiani bianchi.
Gli attuali brevetti sulla vita sembrano essere documenti del medesimo genere: sono pezzi di carta emessi dagli uffici brevetti che, in sostanza, dicono che se ci sono conoscenze, materiale vivente, organismi vegetali, sementi, medicinali ancora sconosciuti ai bianchi, questi possono essere registrati presso gli appositi uffici (e quindi “brevettati”), permettendo alle famigerate corporation (vale a dire la spietata mafia dell’economia planetaria) di appropriarsene in via esclusiva.
È così che sementi come il riso Bhasmati indiano (un ottimo riso naturalmente aromatico), che in India viene coltivato da secoli, ora è rivendicato come una invenzione della RiceTec.
Una fra le multinazionali più note e più spregiudicate, la Monsanto, gira le campagne dell’India con dei camioncini, allo scopo di vendere semi geneticamente modificati (OGM) ai contadini indiani, promettendo loro di diventare milionari. Invitano i contadini all’interno dei camioncini e mostrano loro dei filmati mostrando come diventeranno milionari se compreranno dei semi da loro. Ma alla fine dei raccolti molti contadini si suicidano perché non possono più pagare il costo del brevetto; negli ultimi dieci anni più di 40.000 agricoltori indiani si sono suicidati. Sappiamo, peraltro, che una volta impiantati semi OGM è difficile tornare a una coltivazione con semi non OGM.
I governi dell’Andhra Pradesh e del Gujarat hanno citato in giudizio la Monsanto per la vendita del loro BT Cotton (semi di cotone OGM), a seguito del suicidio di più del 90% degli agricoltori indiani che hanno acquistato quei semi, costati a ognuno di loro 50 dollari per acro, realizzando una perdita complessiva che ammonta a 226 milioni di dollari..
L’attuale presidente degli Stati Uniti d’America, George Bush, è riuscito a convincere (con quali strategie persuasive non è dato sapere) il premier dell’India a firmare un accordo SENZA IL CONSENSO DEL PARLAMENTO indiano, che permette agli U.S.A. di vendere il pane OGM in India. La scienziata indiana Vandana Shiva prevede che fra cinque anni l’India dipenderà completamente dall’America per il pane, e gli indiani non potranno più nutrirsi con il tradizionale chapati.
E, a proposito di OGM, stanno emergendo le strategie commerciali di alcune multinazionali che cercano di promuovere il business Usa degli OGM nei paesi in via di sviluppo. Le corporation americane del settore stanno facendo enormi profitti vendendo le loro sementi geneticamente modificate, offerte come soluzione al problema della sicurezza alimentare. Una strategia portata avanti con il sostegno del governo di Washington, come abbiamo appena visto, grazie all’intermediazione delle potenti lobby dell’industria agroalimentare americana. Poche potentissime multinazionali, infatti, controllano il 90 percento del mercato cerealicolo globale.

Un clima avverso, a fronte di un’agricoltura messa alle strette, significa carestia. In Australia la siccità quest’anno ha causato un calo produttivo di un miliardo di litri di latte. A livello mondiale, dei 620 miliardi di litri prodotti, soltanto il 7% è esportato, e la crescita dei prezzi è stata spettacolare: l’anno scorso il prezzo del latte in polvere è cresciuto dell’80%, mentre il burro industriale del 50%.
Oltre al fatto che l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli è strettamente collegato al caropetrolio, visto che i fertilizzanti e pesticidi usati nell’agricoltura massificata derivano da prodotti petrolchimici.

Da questo stato di cose, le multinazionali del cibo (ADM, Cargill, Bunge, Kraft, ecc.) stanno ricavando profitti enormi. Di un dollaro pagato dal consumatore finale, il produttore vede poco e niente. Una pagnotta che al banco del forno costa due euro, contiene 6 centesimi di frumento! Se un tempo un allevatore riceveva il 60%-70% del prezzo pagato dal consumatore finale per il latte acquistato, ora riceve il 30%, e questa percentuale è destinata a calare ulteriormente.

Inoltre, e soprattutto, oggi sappiamo che questi rincari non sono in realtà da addebitarsi a disastri naturali, ma sono frutto di ciniche speculazioni finanziarie e manovre commerciali. Gli incendi, le inondazioni, la siccità vengono ufficialmente indicati come cause della crisi: raccolti distrutti, crollo dell’offerta, boom dei prezzi. Ma le numerose indagini in corso mostrano che i fattori naturali sono solo pretesti usati per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica fenomeni del tutto artificiali. Il rialzo dei prezzi alimentari ha ben poco a che vedere con la scarsità delle scorte alimentari provocate da fattori naturali, né con problemi nella catena dei rifornimenti: la causa va ricercata in spregiudicate manovre finanziarie speculative. Nei soli Stati Uniti d’America, appositi fondi d’investimento speculativi messi a punto da strateghi di multinazionali agroalimentari permettono di incamerare miliardi di dollari di profitti al prezzo di carestie e rivolte popolari.

In definitiva, come possiamo fidarci della qualità di un prodotto alimentare, quando a produrlo sono potenti multinazionali unicamente interessate a ingrassare le loro tasche?

Vi invitiamo a guardare un videodocumentario altamente istruttivo sull’argomento —

CIBO SpA

settembre 2007