L’INCONTRO MAGICO
TRA PROSA POETICA
E POESIA-VEGGENTE

di Marilde Longeri

Assetati dopo un lungo viaggio nel deserto del vivere dove, chiusi in gabbie, ci è stato impedito di godere del fuoco permanente della diversità, arriviamo un giorno in una oasi fuori dal tempo e dallo spazio dove giacciono le tracce di chi ha saputo vedere e sentire al di là degli steccati dell’esistenza comune. L’esistenza delle abitudini e del nulla che inficia i folli della creazione.
Ecco allora che nell’oasi scopriamo due scritture aliene, ricche di fascinazioni. In punta di piedi entriamo nei loro percorsi più nascosti e abbiamo la visione di due nomi che ci incantano: Emily Dickinson e Virginia Woolf.
Seppure vissute in due epoche diverse (l’Ottocento e il Novecento), l’una Emily, reclusa nella sua puritana e paterna casa di Amherst, cittadina vicina a Boston, l’altra Virginia, limitata nel suo privilegiato e dorato mondo della misterica Londra, queste due illuminanti letterate ci hanno lasciato la scrittura allo stato puro che il tempo accresce e esalta.
Se spesso ci perdiamo nel nettare visionario della prosa poetica di Virginia Woolf, dove la parola inevitabile ci colpisce a ogni riga, così cadiamo in vortici di bagliori di fronte alle poesie e alle lettere di Emily Dickinson.
Rimaniamo in sospensione quando la vita ci fa incontrare la ricerca linguistica, la passione, la determinazione tra verbo e azione di queste due sciamane che hanno sempre cavalcato oltre le dimensioni e le mode del loro tempo.
La follia, nel senso più alto del termine, mostra una lingua straniata eppure coltivata come perla rara. Lingua che prende vigore da altre dimensioni che viaggiano in parallelo tra la forza dell’umano cosciente e la consapevolezza di un luogo dove dimora l’indicibile.
Sia Virginia Woolf sia Emily Dickinson hanno lavorato per disvelare quel qualcosa che desse un senso ai loro giorni. Si sono immolate al segreto e alla solitudine della scrittura per uscire su alternative praterie. Questo nostro mondo stava loro troppo stretto e percepivano come condanna l’essere già proiettate nel futuro in un ambiente in qualche modo straniero dove la maggioranza parlava una lingua a loro incomprensibile.
Se qualcuno avesse ascoltato la musica della loro genialità e se le autrici stesse fossero riuscite a scovare quel “quid” che andavano cercando, forse Emily non avrebbe deposto le armi così presto e Virginia non sarebbe divenuta l’artefice della propria morte.
Citiamo ora la poesia 435 di Emily e un brano di prosa poetica di Virginia dal romanzo Mrs. Dalloway. Troviamo che le assonanze sono molteplici.

435
Molta pazzia è divino buon senso
per un occhio avvertito
— molto buon senso — pura pazzia
— è la maggioranza
in questo, come in tutto, a prevalere.
Dì sì — e sei sano
— ribellati — subito sei pericoloso —
e ti trattano con catene
E.D.

«[…] Gli uomini non devono abbattere gli alberi. C’è un Dio. (Annotava queste rivelazioni sul retro delle buste.) Cambiare il mondo. Nessuno uccide per odio. Fatelo sapere (scrisse). Attese. Ascoltò. Un passero si poggiò sulla cancellata di fronte; cinguettò Septimus, Septimus per quattro o cinque volte, e cavandosi di gola le note continuò a cantare fresco e penetrante in greco; il male non esiste, cantava e, insieme a un altro passero che si unì a lui, con voci dispiegate e acute, in greco, cantavano da sopra gli alberi nel prato della vita aldilà di un fiume dove i morti camminano, da sopra gli alberi nel prato cantavano che la morte non c’è.
Ecco la sua mano; ecco i morti. Delle cose bianche si radunavano al di là della cancellata di fronte. Ma non osava guardare. […]»
V.W.

La follia-creatrice di Septimus-Virginia si sposa con quella di Emily costretta a “non ribellarsi mai” per non cadere in un vortice di prigioni ancora più strette della stanza claustrofobica nella quale comunicava — a noi gli invisibili — i suoi versi. Ma altri sono i temi fondamentali che si intrecciano in queste due geniali scrittrici: il male da sconfiggere, la ricerca — ciascuna a proprio modo — dell’aldilà dove “i morti camminano”, gli uccelli gridano che “la morte non c’è” in greco, la Forza sovra-umana che si fa attendere in percorsi tortuosi che a volte divengono palpabile realtà.
Virginia Woolf forse non resse la seconda guerra mondiale in atto ma soprattutto l’incomprensione che la circondava (compresa quella del sollecito marito che però non capì mai di avere accanto un “genio”). 
I suoi muti lettori e la costruzione di ogni romanzo o saggio la costringevano a emicranie devastanti e a cadute in angosce senza limite. Voleva realizzare l’impossibile.
Emily soffriva più del mal di vivere che del terrore della morte. Era piccola, diafana e trasparente, sperava di poter comunicare al mondo il suo urlo di conoscenza. Nella sovrapposizione di questi due destini c’è anche l’amore infinito per quella parte femminile e quindi realmente creativa che abita nelle stanze più misteriose della mente e del cuore. Ambedue si incarnano nelle vesti di monache, di vestali invase da passioni imbrigliate e trattenute, di veggenti e il loro bagaglio pesante è colorato di rinunce, reclusione, piccoli campi di concentramento, morte in vita, abbandoni, solitudine interiore.
Virginia Woolf non riuscendo del tutto a forare la pagina, a comunicare quello che sta oltre e dentro la parola, a conquistare la terra dell’eterno suono mantrico, scelse l’acqua — fonte di energia e di vita — per scrivere l’ultimo atto della sua esistenza che terminava con la parola Morte.
In perfetta sincronia, Emily visse ogni istante con la morte che divenne sua compagna e sorella di tormenti. Morte vissuta come attrazione fatale, unica risposta alla vita.
Chi ci dice che anche Emily non si lasciò morire?
Forse pure lei era esausta, incredula; non concepiva più di comporre poesie al lume di candela come un fantasma che nessuno conobbe veramente.
Due misteri dunque, Emily e Virginia. Due misteri che ci hanno però lasciato un lessico nuovo fuori dalla norma e dentro quella lucida follia che da sola crea l’eternità e ci avvicina a tutti quelli che nella loro stanza lanciano diamanti verso il cielo.
In che modo possiamo dipanare questo mistero. Chi erano veramente Emily e Virginia? Non ci è concesso saperlo ma ricercando la frase musicale che entrambe circuivano forse accenderemo piccole luci rivelatrici. Luci che non rientrano nel sistema ordinario o accademico. Molti hanno composto saggi egregi su Virginia e Emily. Non vogliamo entrare nel merito né cercare confronti…
Solo appunto – reiteriamo – accendere bagliori, personali bagliori…

copyright Marilde Longeri