MODERNE SCOPERTE SCIENTIFICHE

(a cura del CENTRO STUDI arya)

Ora che la scienza giace per lo più in frantumi, schiantata sotto il peso dell’astrazione, e costretta a genuflettersi a quelle potenti lobbies che ne finanziano le ricerche per ricavarne esclusivi benefici, può rivelarsi utile riflettere su talune moderne scoperte scientifiche che hanno trasformato radicalmente il nostro modo di concepire la realtà materiale (e di rapportarci ad essa). Ecco qualche data particolarmente significativa.

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1872 - Charles Darwin pubblica l’edizione che egli stesso considera definitiva di On the Origin of Species (“Sull’origine delle specie”), in cui divulga i risultati delle ricerche iniziate sulle isole Galapagos, dove concepì la teoria dell’evoluzione. Dovendo implicitamente ammettere che anche Mosè deriva da una scimmia, il suo autore dice che rendere pubbliche tali scoperte è «un po’ come confessare un delitto». E in effetti, in tutto l’Occidente il libro suscita grossi scandali, poiché la concezione cristiana tradizionale vuole il mondo creato tutto d’un tratto, così com’è: vale a dire che la sua struttura e le sue caratteristiche sarebbero immutate e immutabili; l’uomo, al pari delle altre creature, sarebbe stato creato direttamente da Dio esattamente come oggi lo vediamo (ma senza giacca e cravatta, pare). Le scoperte di Darwin scardinano queste concezioni, mettendo in discussione la pretesa dell’assoluta verità della Bibbia; egli stesso afferma che tale testo «non sia più veritiero dei testi sacri degli hindu». Oggi, siamo in grado di ricostruire una scala antropo-cronologica che, per quanto ancora imperfetta, ci permette di tracciare il percorso evolutivo dell’uomo da una specie di mammiferi superiori risalenti a circa 40 milioni di anni fa, conducente all’Homo habilis (2 milioni di anni fa), all’Homo erectus (1 milione di anni fa), e all’attuale Homo sapiens (250/40 mila anni fa). E ora? È logico supporre che il processo evolutivo non si fermerà a un risultato così imperfetto; basta osservare la straordinaria accelerazione cui noi tutti siamo sottoposti. Negli ultimi duecento anni, il mondo è cambiato più che nei primi dieci secoli dopo Cristo. La stessa specie umana, così come la conosciamo da millennî — e che fino a poco tempo fa eravamo portati a credere immutabile — si trova in una acutissima fase di transizione il cui primo risultato (quello attualmente in corso) è una radicale mutazione antropologica della specie, che potrebbe condurre a un’ancor più radicale mutazione fisiologica. Nessuno infatti è in grado di dirci se (e dove) l’evoluzione potrà mai fermarsi.

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1896 - Il prof. Becquerel, membro dell’Accademia francese, scopre, per puro caso, il principio della radioattività spontanea, ovvero che certi tipi di atomi sono instabili e decadono a un ritmo fisso e misurabile — scoperta che porterà alla formulazione (da parte di Heisenberg e Schrödinger) della fisica nucleare, costringendo gli scienziati a cambiare radicalmente il modo di concepire la realtà materiale. Vale la pena di ricordare, infatti, che il mondo non è così come appare ai nostri cinque sensi, in quanto sia a livello subatomico che a livello intergalattico, esso è completamente sganciato dalle forme di pensiero che hanno creato nella nostra mente la limitatissima esperienza dei sensi, vissuta nelle nostre anguste dimensioni. Un esempio: accade di continuo, nel mondo delle particelle, che il tempo rallenti o, addirittura, si inverta; e anche nel cosmo, lo spazio e il tempo si fondono chiudendosi e rallentando, condizionati dall’azione gravitazionale delle masse concentrate. Inoltre, grazie alla scoperta della radioattività spontanea, si è potuto pure risalire all’età approssimativa del nostro sistema solare (formatosi per condensazione della nuvola di idrogeno e polveri metalliche contenenti i due uranî, disperse nello spazio dall’esplosione detta “big-bang”): 4,6 miliardi di anni. Lo stesso numero di anni risulta se si fa il conto con la quantità di piombo presente nei giacimenti di uranio originari: l’uranio decade trasformandosi in piombo con un periodo di dimezzamento di 4,6 miliardi di anni — questa è quindi l’età della nostra Terra. Tutto ciò, cozza decisamente con i dogmi religiosi cristiani, dato che la tradizione biblica fissa l’età della terra in una misura di tempo di appena seimila anni. Non a caso, l’ortodossia cristiana si indignò parecchio di fronte alla presunzione umana che pretende mettere in discussione quella che loro considerano la “Parola di Dio”, ovvero la Bibbia. Ma i fatti sono evidenti, e le prove schiaccianti.

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1900 - Sigmund Freud pubblica il libro su Die Traumdeutung (“L’interpretazione dei sogni”). Il sogno, considerato fino ad allora un fenomeno del tutto privo di interesse scientifico, con questo libro viene per la prima volta preso seriamente in considerazione anche dalla scienza, in quanto si rivela una porta di accesso in una zona nascosta della psiche umana: l’inconscio. I nazisti perseguitarono Freud per le sue origini semitiche e bruciarono i suoi libri. Lungamente boicottata, la stessa psicanalisi ebbe il riconoscimento ufficiale tra le scienze positive quando a Freud venne conferito il premio Goethe. Accanto a Freud, viene considerato cofondatore delle moderne scienze psicologiche Carl Gustav Jung che, di vent’anni più giovane, è in grado di spingersi oltre, introducendo una prospettiva teleologica all’interno della psicanalisi e concependo la possibilità di una realizzazione di una totalità psichica trascendente l’io limitato e che pertanto viene designato come il Sé, avvicinandosi in tal modo, e consapevolmente, alle concezioni spirituali della saggezza orientale. Nel 1932, inoltre, anche lo studio dei fenomeni parapsicologici entrano nel mondo accademico, quando cioè il prof. Rhine ottiene di aprire un reparto di parapsicologia nel laboratorio di psicologia della Duke University negli Stati Uniti d’America, che segnerà l’inizio di tutta una serie di studi statistici in molte università sparse per il mondo che, analogamente, inizieranno a studiare tutti quei fenomeni catalogati come ‘paranormali’, giungendo ad ammetterne l’esistenza al di fuori di una semplice casualità. In tempi più recenti, il prof. Roger Sperry, Premio Nobel nel 1981 per la medicina, afferma che «le vere meraviglie del Duemila verranno non dalla conquista dello spazio, ma della nostra psiche. Le scienze ad essa connesse cominciano solo ora ad imporsi, ma ci apriranno orizzonti mai sognati».

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1916 - Albert Einstein pubblica l’ormai classica opera sulla relatività generale, Die Grundlagen der allgemeinen Relativitästheorie (“Fondamenti della teoria della relatività generale”) che, capovolgendo i dati della fisica tradizionale, stabilisce la relatività delle nozioni di spazio e di tempo, l’inerzia dell’energia e l’interpretazione in un certo qual modo puramente geometrica delle forze di gravitazione. Per essere più precisi, la rivoluzione di Einstein era cominciata già nel 1905, quando egli pubblica la prima sua teoria della relatività, la cosiddetta “teoria della relatività ristretta”. Mentre, la terza fase di questa rivoluzione, la cosiddetta “teoria della meccanica quantistica”, avviene verso il 1926, ma di questa Einstein non fu totalmente responsabile: anzi, pur svolgendo un ruolo importante nel suo sviluppo, non la accettò mai, a causa dell’elemento di probabilità e di incertezza insita in essa. Il primo artefice della teoria dei quanti fu Max Plank, ma poi, sorpassando radicalmente le aspettative del suo iniziatore, essa si sviluppò con il contributo di diversi scienziati: oltre allo stesso Einstein, ricordiamo Rutherford e Bohr e, negli anni Venti, decine di giovani fisici che ebbero il coraggio di rompere del tutto con le tradizioni classiche per fare un passo che sia Einstein che Plank si erano rifiutati di fare. Grandi responsabilità, in questo passo, spetta a Werner Heisenberg, con la formulazione dell’ormai celebre “principio di indeterminazione”. Ad ogni modo, per sfuggire alle persecuzioni razziali, Einstein (di origini ebraiche) con l’avvento del nazismo si trasferisce in America. Negli ultimi anni della sua vita lavorò a una “teoria generalizzata della gravitazione”, tendente a legare in un’unica relazione le due teorie della relatività e dei quanti. Il suo sogno era di trovare la formula che potesse offrire una visione unitaria dell’universo. Famosa la sua frase: «Voglio conoscere i pensieri di Dio; tutto il resto è secondario». Sappiamo peraltro, come ben sapeva lo stesso Einstein, che il Dio che egli molto spesso nominava non coincide affatto con la concezione del Dio Padre biblico.

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1948 - Norbert Wiener formula i principî generali della cibernetica nel suo libro intitolato per l’appunto Cybernetics. È una disciplina poco nota al vasto pubblico, ma le cui applicazioni sono sterminate (basti pensare alla rivoluzione scientifica, tecnologica e industriale dovuta a quelle macchine cibernetiche che sono i computers, sebbene Wiener metta anche in guardia, con profetica lucidità, sulle conseguenze derivanti da un eventuale asservimento dell’uomo sull’uomo). La cibernetica è, in sintesi, la scienza dell’intima organizzazione di un insieme di elementi che, legandosi in rapporto di interdipendenza, acquista una propria funzionalità e finalità. Ma tale insieme di elementi è strutturato ciberneticamente se l’unificazione risponde a uno scopo o a un significato, che non è dato dalla somma delle sue parti, ma ne costituisce in qualche modo l’unità. Il nostro stesso cervello, per fare un esempio, non è altro che un sofisticatissimo sistema cibernetico composto di una ventina di miliardi di cellule e fibre neuroniche, collegate e organizzate in una infinità di modi complessissimi al duplice scopo di dirigere e far funzionare in senso fisiologico il nostro organismo, e di accogliere in sé tutta una serie di manifestazioni mentali, quali la ragione e il pensiero riflessivo. Lo stesso concetto di evoluzione, visto secondo i principî sviluppati dalla teoria cibernetica, non sarebbe altro che un processo costruttivo di strutturazioni successive di elementi, sempre più finalizzate. Cioè a dire che durante i miliardi di anni di storia della terra, la tensione finalistica ha portato ad arricchire progressivamente le strutture, con elementi atti a trasformarle secondo una linea ascendente e sempre più unitaria nel significato. In natura, questa tensione finalistica (o “teleonomica”, come viene definita in cibernetica), non appare come posta da un programma stabilito dall’esterno, ma come frutto di una logica interna dello stesso processo cibernetico globale (come non pensare all’intuizione vedantina dell’unico seme che ha germogliato le molteplici forme?). In quest’ottica, l’universo si dirige verso una formula di perfezionamento progressivo, tendente a svelare sempre più quel programma intimo insito nel cuore stesso della manifestazione. Insomma: c’è un fine, pur se sfugge all’animale semi-razionale chiamato uomo.

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1963 - Rutherford Pratt afferma (nel suo Inner Space of the Living Cells), che «ogni cellula ha una propria coscienza e un proprio codice di vita». Qualche anno dopo, Werner Shupbach mostra la straordinaria struttura cibernetica di un agglomerato cellulare: «Ogni nucleo cellulare porta iscritta nei propri cromosomi la mappa dell’intero organismo. La dotazione cromosomica di una qualsiasi cellula rappresenta il complesso dell’individuo e insieme la ‘località’ in cui la cellula si trova. Un’organizzazione paragonabile a quella di una comunità produttiva umana ideale, in cui ogni partecipante sia cosciente del complesso della comunità e della propria personale funzione intelligente in seno alla comunità stessa». Su questa stessa linea, nel 1967 lo scienziato Enrico Ruggiero rende noti i risultati delle sue ricerche sul potere elettrico delle cellule. Dice: «Le cellule umane sono in grado di generare un’energia elettrica sufficiente a fulminare un uomo. Collegando dei fili al corpo umano, le cellule sarebbero in grado di produrre energia elettrica sufficiente a un consumo domestico medio». Negli esperimenti compiuti nel suo laboratorio a Città del Messico, il prof. Ruggiero ha tratto da una capra corrente sufficiente ad accendere una serie di lampadine da 40 watt e a far suonare un campanello elettrico, tanto da giungere alla conclusione che il corpo umano è in potenza una pila elettrica vivente. «Tutti gli esperimenti fatti in questi ultimi anni — conclude Ruggiero — mi hanno convinto che le cellule non si atrofizzano mai e che anzi, proprio come degli accumulatori di energia, possono servire a ricaricare le cellule dello stesso tipo diventate inattive in seguito a qualche malattia. La mia teoria è che le cellule atrofizzate siano quelle la cui energia si è scaricata; e che possano perciò venire riattivate semplicemente ricaricandole con altre cellule del malato, tornando così a funzionare normalmente come prima». Oggi, la citologia ormai riconosce una potenziale immortalità insita in alcune cellule (dette ‘germinali’), che muoiono solo perché intervengono dei fattori di squilibrio che ne alterano il programma originario.

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2001 - Due équipe di scienziati statunitensi rendono pubblici i risultati delle loro ricerche sul genoma umano: 30.000 sarebbero i geni contenuti nel nostro DNA, la cui struttura elicoidale è stata proposta per la prima volta nel 1953 da James Watson e da Francis Crick (ricordiamo anche che nel 1856 Gregor Mendel scopre le leggi della trasmissione ereditaria, nel 1869 Johann Miescher riesce a isolare il Dna, mentre nel 1960 Paul Berg è in grado di clonarlo). Oggi sappiamo che i geni più importanti sono gli stessi in tutti gli organismi superiori, e tra quelli meno importanti appena il 2% distingue un uomo da uno scimpanzé (mentre un ugualmente misero 7% ci distingue dagli altri invertebrati). Crolla quindi quell’atteggiamento che il naturalista Konrad Lorenz ha definito in modo molto arguto ed efficace come lo «sciovinismo dell’umanità», poiché l’uomo, ora, risulta essere solo una specie fra le tante che popolano il pianeta (la più infelice, ci permettiamo di aggiungere noi), al contrario di quanto il mondo cristiano ha da sempre propugnato, ponendo enfaticamente l’uomo al centro dell’universo e vedendo tutte le creature animali e vegetali create unicamente per soddisfare le sue necessità (da cui deriva, ovviamente, un atteggiamento di sfruttamento e di generale insensibilità verso di esse). Peraltro, è forse opportuno ricordare come l’antica saggezza orientale, di cui fino al secolo scorso la cristianità parlava in termini totalmente spregiativi, facendola apparire come un coacervo di rozze concezioni primitive e selvagge, ha sempre avuto la consapevolezza della fondamentale unità tra tutte le specie viventi, derivando da ciò un elevato rispetto per ogni forma di vita, come Schopenhauer mise, tra i primi, in evidenza. Lo stesso concetto di “razza”, all’interno della famiglia umana, risulta pertanto scientificamente superato, dimostrando finalmente la totale infondatezza e irrazionalità delle distinzioni razziali che gli esseri umani di pelle bianca hanno utilizzato per ridurre in schiavitù i fratelli umani aventi — per fattori ambientali — una pelle di colore diverso.