Wasichum è arrivato
— e, con lui, il massacro…

(a cura della redazione del sito arianuova.org)

I conquistadores spagnoli,
con il luccichio delle loro armi,
arrivarono nel mondo nuovo.
«Siamo venuti per parlare con voi
di Dio, della civiltà e della verità».
E un gruppo di indigeni, ascoltandoli
un po’ sorpresi, rispose loro:
«Benissimo. Che cosa volete sapere?»

Quando “Wasichum”, l’uomo dalla pelle bianca, arrivò in America, ebbe inizio il più grande genocidio della storia.
Fu verso il 35.000 a.C. che i cosiddetti ‘nativi d’America’ vi giunsero (attraverso lo stretto di Bering, in un periodo in cui probabilmente gli oceani si erano abbassati e terre ora sommerse erano esposte) dall’Asia — con ogni probabilità originari dell’India, il che renderebbe alla fine giusta la nomea di indios che Colombo, sbarcando nel 1492 a San Salvador, diede erroneamente agli abitanti dell’isola, credendo di essere giunto in qualche punto delle Indie.
Nel 20.000 a.C. l’uomo si diffuse in tutta l’America; i popoli migratori si spinsero verso Sud seguendo la costa del Pacifico e diedero, pare, origine alle civiltà dei Maya e degli Aztechi.
Ci troviamo di fronte a una cultura antichissima e sostanzialmente pacifica, rispettosa della vita e della natura in tutte le sue forme, ma che purtroppo conobbe, come sappiamo, un tragico epilogo.
Dopo varî tentativi di annientamento da parte degli invasori (come quello intercorso nel 1763, in cui gli inglesi, allo scopo di sconfiggere gli Ottawa e i Chippewa, inviarono negli accampamenti indiani coperte infette da vaiolo, in una sorta di guerra batteriologica che annientò le due tribù), nel 1830 il Governo americano varò l’Indian Removal Act, il decreto di rimozione degli indiani. Venne creato il cosiddetto “territorio indiano permanente”, corrispondente all’attuale stato dell’Oklahoma, nel quale dovevano essere deportati tutti gli indiani viventi entro i confini del territorio americano: fu, in pratica, l’istituzione delle riserve indiane. Così, nel 1838, iniziò l’evacuazione forzata degli indiani: circa 95.000 individui appartenenti alle cosiddette cinque tribù civilizzate, vennero condotti con la forza nel territorio indiano dopo un viaggio di oltre duemila chilometri, attraverso il “sentiero delle lacrime”. Poi venne scoperto l’oro, in particolare nelle Black Hills (le terre sacre dei Sioux), e ciò spinse molti americani a invadere il territorio indiano (da qui ebbero inizio le guerre tra indiani e bianchi), attraverso quella che le tribù Sioux e Cheyenne chiamarono la “strada dei ladri”, aperta appositamente dal famigerato Custer nel 1874.
In breve, se negli Stati Uniti d’America la popolazione precolombiana ammontava all’incirca a un milione e mezzo di abitanti, nel ventennio 1890-1910 venne ridotta a meno di duecentocinquantamila!
Parallelamente, per togliere agli amerindi la principale fonte di sostentamento, iniziò la strage dei bisonti, che arrivò a sterminare in trent’anni qualcosa come cinquanta milioni di questi animali.
Episodi inumani, quali il massacro di Sand Creek (29 novembre 1864 — un pacifico accampamento di Cheyenne e Arapaho venne attaccato senza motivo dall’esercito americano, massacrando 253 indiani, per la maggior parte donne e bambini) o il massacro di Wounded Knee (28 dicembre 1890 — un accampamento di Sioux Minneconjou venne accerchiato dalle truppe americane, le quali presero a sparare con cannoni e fucili automatici sulla popolazione inerme, uccidendo oltre 300 indiani), sono scritti nel libro delle atrocità dell’uomo sull’uomo.
Oggi, nelle riserve indiane la mancanza di lavoro è piuttosto elevata. Così, per soddisfare le necessità della famiglia, molti indiani si sono rassegnati a svolgere un ruolo di attrazione folcloristica per i turisti, mentre altri praticano l’allevamento ovino e bovino, anche se i pascoli sono poco ricchi, in quanto la maggior parte delle riserve sono dislocate nelle zone più aride.
Negli ultimi decennî è in corso un tentativo di recupero e di studio delle tradizioni dei nativi d’America, in particolare a partire dal 1973, in cui i militanti dell’A.I.M. (American Indian Movement, fondato nel 1968), occuparono il villaggio di Wounded Knee per settanta giorni, assediati dall’esercito americano accorso con carri armati e mitragliatori; la notizia fece il giro del mondo e i mass media seguirono l’evento da vicino.
Ecco come Ohiyesa, della tribù Sioux Santee, descrive alcune qualità peculiari dell’indiano d’America:
«Tutti coloro che hanno vissuto a lungo all’aria aperta sanno che c’è una forza magnetica e vitale che si accumula in solitudine, mentre nella vita associata fa presto a dissolversi; e perfino i suoi nemici hanno riconosciuto che l’indiano d’America possiede una sorta di potere innato e una padronanza di sé che non hanno eguali tra gli uomini.
L’indiano era persuaso che il Grande Spirito permeasse di sé l’intero creato, e che ogni essere avesse un’anima, anche se in gradi diversi. L’indiano amava molto entrare in sintonia e in comunione spirituale con i suoi fratelli del regno animale, e quando accettava il sacrificio del loro corpo per preservare il proprio, egli tributava omaggio al loro spirito con le preghiere e le offerte rituali.
Nella vita dell’indiano c’era un solo dovere ineludibile, il dovere della preghiera — la quotidiana espressione di riconoscenza all’Invisibile e all’Eterno. Le preghiere gli erano più necessarie del cibo. Egli si svegliava al levare del giorno, calzava i mocassini e scendeva sulla riva. Lì, si spruzzava l’acqua limpida e fresca sul viso, oppure ci si immergeva per intero. Dopo il bagno, in piedi di fronte all’alba che sopraggiungeva, il viso rivolto verso il sole che si profilava all’orizzonte, offriva la sua muta preghiera. La sua compagna poteva precederlo o seguirlo in questo rito, ma non era mai con lui. Ogni anima doveva incontrare da sola il primo sole del mattino, la nuova, dolce terra e il Grande Silenzio.
L’indiano non ha mai dubitato della natura immortale dell’anima dell’uomo, ma non si è nemmeno preoccupato di congetturare sul suo possibile stato in una vita futura e sulle sue circostanze. L’indiano primitivo era convinto che lo spirito che il Grande Mistero infondeva nell’uomo ritornasse da Colui che glielo aveva donato.
Molti tra gli indiani credevano che si potesse nascere più di una volta, e alcuni sostenevano di essere consapevoli di una vita precedente.
È risaputo che l’indiano d’America aveva in qualche modo sviluppato poteri occulti. Esistono esempi ben documentati di impressionanti profezie e altre pratiche mistiche.
Un profeta Sioux predisse l’arrivo dell’uomo bianco con almeno cinquant’anni di anticipo, e ne descrisse addirittura con precisione l’abbigliamento e le armi.
Io credo personalmente che ciò che va sotto il nome di civiltà cristiana non esista. Sono convinto che il cristianesimo e la civiltà moderna siano contrapposti e inconciliabili, e che lo spirito del cristianesimo e della nostra antica tradizione sia essenzialmente lo stesso».