ISAAC NEWTON

- a cura del CENTRO STUDI arya -

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«Newton non fu il capostipite dell'età della ragione: fu l'ultimo dei maghi.»
John Maynard Keynes

Chi non ha mai sentito parlare della “mela di Newton”? È una di quelle storielle che fin dalla più tenera età vengono apprese e, anche nella improbabile ipotesi di non trovarsi a studiare in seguito i principi basilari della legge della gravitazione, il nome di Newton rimane impresso in noi come quello di un grande genio.

Sir Isaac Newton (1642-1727) è stato un matematico, fisico, filosofo naturale e alchimista inglese. È considerato una delle più grandi menti di tutti i tempi. Peraltro fu, per un certo periodo, il Presidente della Royal Society, un’associazione culturale che raccoglieva il fior fiore del mondo scientifico inglese e che fu la culla delle più avanzate ricerche scientifiche, ma che ospitava al suo interno anche numerosi esponenti di punta della cultura esoterica dell’epoca (come raccontano le cronache, dai pulpiti dei predicatori si tuonava spesso contro i membri della Royal Society e così facevano pure i membri più elevati delle chiese anglicane e cattolica).

Di recente (febbraio 2012) la Biblioteca Nazionale Israeliana — la quale possiede un vasto repertorio di manoscritti esoterici di Newton — ha messo in rete i fogli della propria collezione, ovviamente in formato digitale. Tra questa pagine figurano anche quelle nelle quali Newton aveva ipotizzato (ritorneremo sull'argomento) che l’apocalisse sarebbe accorsa nell’anno 2060.

Ma, prima di occuparci dell’alchimista, ricordiamo che Newton è universalmente noto soprattutto per il suo apporto alla meccanica classica, sebbene egli abbia contribuito in maniera fondamentale a molte altre branche del sapere e i suoi studi non fossero affatto limitati al solo dominio scientifico.

Il metodo newtoniano, fondamentale nell'evoluzione delle sue scoperte scientifiche, consisteva in due parti fondamentali: un procedimento analitico, che procede dagli effetti alle cause, a cui succede un procedimento sintetico, che consiste nell'assumere le cause generali individuate come ragione dei fenomeni che ne derivano.

Pubblicò i Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica nel 1687, ove descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivide con il noto matematico e filosofo Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale o infinitesimale.

Newton fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla cosiddetta “rivoluzione scientifica” e al progresso della teoria eliocentrica. A lui si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti. Oltre a dedurle matematicamente dalla soluzione del problema della dinamica applicata alla forza di gravità (‘problema dei due corpi’) ovvero dalle omonime equazioni di Newton, egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche, ma anche iperboliche e paraboliche.

Newton fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta dalla somma (in frequenza) di tutti gli altri colori. Egli avanzò pure l’ipotesi che la luce fosse composta da particelle, da cui prese le mosse la teoria corpuscolare della luce, in contrapposizione ai sostenitori della teoria ondulatoria della luce, patrocinata dall'astronomo olandese Huygens e dall'inglese Young e corroborata alla fine dell’Ottocento dai lavori di Maxwell e Hertz. La tesi di Newton trovò invece conferme, circa due secoli dopo, con l'intuizione del “quanto d’azione” di Max Planck e i lavori di Einstein sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico e la conseguente introduzione del quanto di radiazione elettromagnetica: il fotone.

Più complesse furono le teorie che Newton azzardò per spiegare i fenomeni luminosi secondo le quali nello spazio era diffusa una sostanza “finissima” chiamata etere. Secondo lui, la luce avrebbe riscaldato l’etere facendolo vibrare mentre esso avrebbe rifratto la luce. Newton aggiungeva che la luce avrebbe subìto accelerazioni e decelerazioni per via delle variazioni di densità di questo mezzo. In questa teoria, la luce appare come un corpuscolo. Oggi la meccanica quantistica parla di dualismo onda-particella, anche se i fotoni hanno poco da spartire con i corpuscoli di Newton.

Newton, oltretutto, era vegetariano e a questa sua scelta etica si ispirò la critica alle crudeltà sugli animali contenuta negli Elementi della filosofia di Newton (1737) di Voltaire.

E, soprattutto, Newton dedicò parecchio tempo all’alchimia: in un’epoca in cui i principi della chimica non erano ancora chiari, egli cercò tra le altre cose di indagare sulla natura delle sostanze rifacendosi a tradizioni ermetiche ed effettuando una serie di esperimenti specifici.

L’interesse di Newton per l’alchimia non può in nessun modo essere isolato dai suoi contributi alla scienza, come alcuni vorrebbero. Se, per esempio, egli non avesse creduto nell’idea occulta dell’azione a distanza, attraverso il vuoto, probabilmente non avrebbe sviluppato la teoria sulla gravità. Newton era solito trascorrere l’intero mese di settembre di ogni anno immerso nelle pratiche alchemiche. Da uno dei suoi numerosi manoscritti lasciati inediti, apprendiamo che Newton non considerava l’alchimia come qualcosa di diverso dalle scienze esatte. E ciò non stupisce affatto: al suo tempo, non vi era una divisione marcata fra ricerca scientifica e ricerca alchemica.

Newton, però, sapeva che le sue ricerche potevano procurargli parecchi fastidi. In particolare, temeva che le sue idee poco ortodosse sulla religione potessero causargli problemi e anche per questo preferì tenere segreti i suoi scritti filosofici. E, dopo la sua morte, con il passare del tempo, gli studiosi preferirono concentrarsi sui suoi scritti scientifici e rifiutare categoricamente quelli ritenuti non scientifici; si decise anzi di tenere accuratamente nascosti per secoli quei documenti, in un perfetto accordo fra la censura religiosa e quella (meno pericolosa nei suoi effetti ma più sconcertante nei suoi postulati) della scienza ortodossa. Perfino l’Università di Cambridge scartò quei manoscritti, ritenuti privi di valore scientifico. Finché — e arriviamo al 1936 — a Londra gli scritti esoterici di Newton vennero messi all’asta e venduti a un prezzo di gran lunga inferiore al loro reale valore: pochi accordavano un qualche credito a quei manoscritti, ritenendoli semplici “farneticazioni alchemiche”. I due unici personaggi interessati all’acquisto furono John Maynard Keynes (il celebre economista britannico propugnatore della teoria detta appunto keynesiana e citato in apertura del presente articolo) e Abraham Shalom Yahuda (uno studioso di cultura ebraica), che alla fine si aggiudicò l’asta. Poi, qualche anno dopo la morte di Yahuda, nel 1969, i manoscritti passarono alla Biblioteca Nazionale dello Stato di Israele, per l'appunto. Tali scritti vennero resi pubblici solo nel 2007 e, adesso, chiunque li può consultare da casa tramite le riproduzioni digitali che, come si diceva, sono state messe in rete.

Illuminanti, per la comprensione della reale personalità di Newton, le parole che pronuncia Keynes nel 1942, in occasione di una conferenza al Royal Society Club: «Nel diciottesimo secolo, e poi da allora in avanti, Newton prese a essere considerato come il primo e il più grande degli scienziati dell’età moderna: un razionalista, uno che ci insegnò a pensare seguendo i principi del ragionamento freddo e imparziale. Io non lo vedo in questa luce. Credo che nessuno di coloro che hanno meditato sui materiali contenuti in quella cassa, da lui stesso riempita quando lasciò Cambridge nel 1696 — materiali che, sebbene in parte dispersi, sono giunti fino a noi — possa considerarlo in quel modo. Newton non fu il primo scienziato dell’età della ragione. Piuttosto fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l’ultima grande mente soffermatasi sul mondo del pensiero e del visibile con gli stessi occhi di coloro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa.»

La collezione contiene centinaia di pagine manoscritte di studi che, come assicura la Biblioteca nazionale israeliana, sono di grande aiuto nel fare luce sul metodo scientifico di Newton, su quelle sue ricerche che esulano dalla ristretta pertinenza della scienza e perfino sulla sua personalità.

Fra questi manoscritti troviamo per esempio alcuni dei suoi lavori più tardi: The Chronology of Ancient Kingdoms Amended (del 1728) e Observations Upon the Prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John (del 1733). Come pure altri numerosi opuscoli religiosi sulla interpretazione della Bibbia.

Newton riteneva che in vari punti il testo dellla Bibbia fosse stato forzato e falsificato e si adoperò in ogni misura per riuscire a trovare il significato originale del libro. Era anzi convinto che esso contenesse una sorta di codice da decifrare. Questa sua tesi, peraltro, era già ben nota presso alcuni studiosi di Qabalah e ancora oggi ha un suo seguito.

Il responsabile della Biblioteca nazionale israeliana, Milka Levy-Rubin, ricorda in proposito che «al giorno d’oggi noi tendiamo a fare una distinzione netta fra scienza e fede, mentre per Newton si trattava di due aspetti collaterali della medesima ricerca, al punto da ritenere che lo studio meticoloso dei sacri testi era essa stessa una sorta di scienza». Anche se, come ogni scienza, richiede una serie di verifiche e di prove sperimentali.

Sta di fatto che, per cercare di creare un terreno sufficientemente solido sul quale poggiare le proprie investigazioni, Newton studiò la lingua ebraica e si sottopose a una serie di approfonditi studi di esoterismo ebraico, che molto lo coinvolsero, comprendente la filosofia mistica degli Ebrei, il misticismo della Qabalah e lo studio del Talmud in lingua originale. Levy-Rubin, non a caso, tiene particolarmente a precisare che negli scritti di Newton non si trova una sola affermazione che possa avere anche solo lontanamente una colorazione antisemita — emerge ovunque, al contrario, un grande rispetto per questo popolo e per la sua antica dottrina. Se pensiamo che all’epoca di Newton era piuttosto diffuso in tutta Europa un certo sentimento decisamente antisemita, palesemente espresso dalla maggior parte degli intellettuali e dei prelati cristiani suoi contemporanei, comprendiamo le sue esitazioni nel diffondere i propri studi in tale ambito. Non a caso, Newton detestava particolarmente la Chiesa cattolica e si oppose con tutte le proprie forze ai provvedimenti filo-cattolici che Giacomo II volle imporre all’Università di Cambridge.

E, sulla base di questi studi, come abbiamo accennato, in un manoscritto redatto nel 1704 (nel quale descrive i suoi tentativi di estrarre informazioni scientifiche dalla Bibbia) stimò che nell’anno 2060 si sarebbe prodotta l’apocalisse. Basò i propri calcoli sul Libro di Daniele (che descrisse nel manoscritto del 1733 sopra citato), il quale contiene per l’appunto una ambigua profezia sull’apocalisse. I 1260 anni cui il testo cripticamente allude, sarebbero da computare, secondo newton, a partire dall’incoronazione di Carlo Magno, avvenuta nell’800. E si arriva in tal modo al 2060.

Newton era anche convinto che la geometria del Tempio di Salomone esprimesse una antica saggezza tesa a mostrare alcune proporzioni ideali mediante le quali la Natura materiale rifletterebbe il disegno della Soprannatura divina. E fu proprio dalla configurazione del Tempio di Salomone che egli sviluppò le leggi di gravitazione (la mela è una favola inventata per semplificazione, lo sappiamo tutti). Newton descrive il centro del Tempio come un focolare per offrire sacrifici, perpetuamente acceso e attorno al quale i credenti si riuniscono. E l’immagine di un focolare al centro e dei discepoli disposti attorno fu precisamente quella su cui si basò per sviluppare il concetto di gravitazione universale.

Newton si dimostra anche un profondo conoscitore della scuola pitagorica e, nei suoi Principia mathematica, compie un esplicito tentativo di riscoprire l’aspetto esoterico della cosmologia pitagorica, nascosto sotto le immagini popolari della musica delle sfere. In realtà, il grande philosophus naturæ, come egli stesso si definiva, riteneva che la conoscenza fondamentale del mondo, la cosiddetta prisca sapientia, fosse già stata rivelata da Dio ai primi uomini e incisa su due colonne, riscoperte dopo il diluvio universale da Pitagora e Ermete Trismegisto, che ne inglobarono la verità nelle proprie filosofie esoteriche.

Insomma, nei prossimi anni è probabile che uno studio attento di questi manoscritti possa generare qualche interessante approfondimento per comprendere meglio l’uomo e l’epoca nel quale visse — un'epoca in cui Galileo si apprestava a tradurre i fenomeni scientifici in linguaggio matematico (quello che lui chiama “la lingua di Dio”) e, riprendendo l’insegnamento di Leonardo, cominciava a rivolgere precise domande alla natura usando gli esperimenti; Francis Bacon rifondava il ragionamento induttivo aristotelico, ripulendolo dalla sua impostazione dogmatica; e lo stesso Newton, con Boyle, andavano unificando le idee di Galileo e Bacone e fondarono in tal modo la scienza moderna.

In una simile epoca, l’influsso delle correnti iniziatiche ha esercitato un ruolo fondamentale nello sviluppo del pensiero scientifico, che non può essere ignorato ma che è ora di iniziare a studiare con lo scrupolo e il rispetto che meritano.

Per il momento, concludiamo con le parole con cui Newton fotografa se stesso: «Non so cosa io possa sembrare al mondo, ma a me stesso sembra di essere stato solo come un ragazzo che gioca sulla riva del mare e che si diverte a trovare di quando in quando un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità si stende tutto sconosciuto davanti a me».

Febbraio 2012