IL MONDO ATTUALE


a cura della redazione del sito arianuova.org


Com’è il mondo attuale?
Difficile dirlo.
La stessa parola “attuale” ci colloca rapidamente al centro della problematica odierna. In quale momento è cominciato quello che definiamo “mondo attuale”?
Nel momento dell’assassinio dell’arciduca a Sarajevo? Nella rivoluzione russa? Nell’incendio del Reichstag? Nell’attacco a Pearl Harbour? Nella bomba di Hiroshima? Nell’arrivo dell’uomo sulla luna, coincidente con i movimenti femministi? Nella conquista dello spazio cibernetico? Nella caduta del muro di Berlino? Nel mercato globale? Nella clonazione della pecora Dolly? Nell’11 settembre 2001?

Animale strano l’uomo! Questo bipede che appoggia una gamba nel suo narcisismo e l’altra nel suo socialismo, una nella sua ontogenesi e l’altra nella sua filogenesi.
Mai è stata tanto evidente quanto adesso la stranezza degli uomini e del mondo.

In questo mondo attuale, tutto è provvisorio. È solamente permanente la miseria umana. Strano animale, l’uomo: camminando sempre in cerchi, senza direzione, esplodendo rocce e paesi, esiliato da tutte le frontiere, esponendo le sue ferite senza nessun pudore, trovando sempre una forma per trasformare il suo maggiore bene, le sue culture, in arnesi di guerra e di terrore.

Mai come adesso, il mondo è stato così lacerato da scontri, guerre, assurdità e contraddizioni.

Volendo effettuare una istantanea del mondo attuale, possiamo partire ricordando che i grandi imperi coloniali si sono dissolti non per loro spontanea volontà, per rinsavimento, ma a seguito di lunghe lotte da parte dei popoli dominati. Quello che le potenze dominanti hanno cercato di fare, quando si sono accorte che non era più possibile fermare il corso della storia e mantenere le loro colonie, è stato di minare alla radice l’unità dei paesi che lasciavano, prima spaccandoli in due e poi lanciandogli contro i signori della guerra.

In India le lotte contro la dominazione britannica sono iniziate verso la fine dell’Ottocento, ma è a partire dal 1904 che hanno preso una forma concreta — prima nel Bengala, poi nel resto dell’immenso subcontinente, portando alla liberazione, celebrata ufficialmente il 15 agosto 1947. Ma la divisione del Bengala in due Stati (il Bangla Desh e il Pakistan) ha lasciato sul Paese una ferita aperta che perdura tutt’oggi. Nonostante la crescita vertiginosa del Paese, questa spaccatura mina la stabilità di quella che è la più grande confederazione democratica del mondo.

In Indocina, fra il 1945 e il 1955, nei vasti territori del Vietnam, della Cambogia, del Laos si verificò una lunga guerra di liberazione dalla dominazione francese. Nel 1945 Ho Chi Min proclamò l’indipendenza del Vietnam. La guerra proseguì fino al 1954 e si concluse con la vittoria dei contadini vietnamiti. Ma anche in questo caso avvenne una divisione fra Vietnam del nord (guidato da Ho Chi Min) e Vietnam del sud (appoggiato dagli U.S.A.). Il sud fu attaccato ripetutamente dalle truppe del nord, fino a quel famigerato 1965 in cui gli Stati Uniti d’America intervennero con potenti armamenti e 35mila soldati, causando migliaia di vittime fra i civili. Infine, nel 1975 gli U.S.A. furono costretti a ritirarsi e il Vietnam riuscì a trovare l’unità.

In Africa alcuni paesi raggiunsero l’indipendenza pacificamente (Marocco e Tunisia nel 1956), ma la maggior parte di essi dovettero affrontare guerre sanguinose: fra questi lo Zaire (ex Congo belga), il Mozambico e l’Angola (colonie portoghesi, liberatesi solo nel 1975), l’Algeria (colonia francese fino al 1962, quando finì la guerra di liberazione iniziata nel 1954), il Kenia (colonia inglese fino al 1963), il Sudafrica (che dopo lunghi anni di lotte è riuscito nel 1994 a indire libere elezioni che hanno dato la vittoria a Nelson Mandela, strenuo sostenitore della convivenza pacifica, che aveva pagato la sua lotta per la giustizia con decenni di prigione). Sovente i colonizzatori finanziarono armate locali che ostacolassero il processo di liberazione. Nel Katanga, per esempio, alcuni gruppi industriali belgi finanziarono per anni un piccolo stato ribelle contro il legittimo governo del Congo (il primo ministro Lumumba fu ucciso e sostituito nel 1965 da Mubutu, più disponibile ne confronti degli interessi occidentali). E, più in generale, è ben noto lo sfruttamento che le nazioni occidentali hanno imposto alle ex-colonie dopo il raggiungimento dell’indipendenza. Mancando una vera e propria classe dirigente, spesso l’unico potere forte nei paesi africani era l’esercito, in mano a bande di violenti appoggiati talvolta dai sovietici, talvolta dagli statunitensi; da ciò derivarono centinaia di guerre sanguinose e terribili, che in Occidente vengono tenute perlopiù sotto silenzio.

In Sudamerica, invece, la corruzione di pochi privilegiati crea dittature militari volte a reprimere le richieste delle classi più povere della popolazione — sia nei paesi più ricchi di risorse naturali (come il Brasile e il Messico), sia in quelli più poveri (Perù, Bolivia, Ecuador…). Spesso questi regimi dittatoriali sono appoggiati dagli U.S.A.

Come ben sappiamo, sussiste una situazione particolarmente delicata anche in Palestina dove, dall’inizio del Novecento, molti ebrei cominciarono a emigrare per sfuggire all’antisemitismo. La Palestina era allora abitata da una popolazione araba ma era controllata dagli inglesi, i quali inizialmente agevolarono l’immigrazione ebraica. Durante le due guerre mondiali (e soprattutto durante la seconda) l’arrivo in Palestina di ebrei da tutta Europa aumentò considerevolmente, finché il 14 maggio 1948 costituirono il loro stato e lo chiamarono Israele. Le guerre fra israeliti e palestinesi continuano ancora.

E in questa fotografia non può mancare la Cina, ultimo grande baluardo del comunismo. Anche se, in realtà, da quando Den Xiaoping ha varato il programma di modernizzazione, la trasformazione ha portato il Paese, in questi ultimissimi anni, a essere più capitalista che comunista. Capitalista con una facciata comunista.

Oggi la crescita economica di Cina e India è in continua ascesa. Due Paesi che, insieme, superano abbondantemente i due miliardi di abitanti.

Che cosa ci riserva il domani?