MEDICINA

La medicina era sorprendentemente avanzata nell’India antica, in particolare nei rami della chirurgia, della oftalmologia, della odontoiatria. La tradizione medica indiana risale al periodo vedico con gli ashvinikumara, medici ai quali venne accordato un rango divino. E abbiamo anche un dio della medicina: Dhanvantari.

La pratica della chirurgia è documentata già nell’VIII secolo a.C.; tale scienza era conosciuta con il nome di Shastrakarma, considerata una delle otto branche della medicina ayurvedica, che è il più antico sistema medico conosciuto in India. Il più antico trattato di chirurgia indiana che si conosca porta il nome di Shushruta-Samhita, o “il compendio di Shushruta”. Shushruta era il nome di un medico che visse a Kashi all’incirca nell’800 a.C. e fu uno dei primi ricercatori a effettuare studi di anatomia sezionando cadaveri umani, e il suo Samhita illustra quanto profonde fossero le sue conoscenze del corpo umano. Così leggiamo a proposito dei suoi studi di anatomia: «Occorre utilizzare il corpo di una persona non troppo anziana e che non sia morta per avvelenamento o a causa di una malattia grave. Dopo avere eseguito con cura la pulizia dell’intestino del cadavere, deve essere avvolto in fibre di rafia, oppure in foglie d’erba o di canapa e sistemato in una gabbia (per proteggerlo da animali rapaci). La gabbia deve essere posta in un luogo sicuro in un fiume tranquillo, di modo che si ammorbidisca. Dopo sette giorni il corpo viene tolto dall’acqua e deve essere pulito accuratamente con una spazzola, in modo che si possa osservare ogni più minuta parte del suo corpo, a cominciare dal tessuto epidermico, e poi andando sempre più in profondità». Se pensiamo che Leonardo da Vinci, nel Rinascimento, doveva effettuare tali pratiche di nascosto, per timore di essere scoperto dai giudici del tribunale dell’Inquisizione che lo avrebbero incriminato di effettuare atti di stregoneria, ci rendiamo conto di quanta libertà esistesse in India nella ricerca scientifica, esattamente come per ogni altro campo di investigazione.
Shushruta, come si diceva, era un abile chirurgo e suddivise la chirurgia in otto differenti componenti: chedya (incisione),lekhya (scarificazione), vedhya (iniezione), esya (esplorazione), ahrya (estrazione), visraya (evacuazione), sivya (sutura). Alcune testimonianze scritte dicono che egli fosse particolarmente abile nelle operazioni di rimozione della cataratta e nella chirurgia plastica. Esistono anche resoconti dettagliati di come Shushruta effettuasse alcune di queste operazioni, e alcuni moderni medici si sono molto sorpresi nel notare l’abilità di questo loro antico collega e di quanto moderne fossero le sue pratiche. Egli, in particolare, si distinse per le operazioni di ricostruzione del naso (la moderna rinoplastica), e il suo testo è particolarmente dettagliato nel descrivere tali operazioni (la mutilazione del naso e delle orecchie purtroppo era un metodo di punizione abbastanza diffuso nell’antichità), la cui modernità è davvero sbalorditiva. La sua fama si estese in tutta l’India e ne varcò addirittura i confini.

Il sistema indiano di medicina tradizionale, lo Ayurveda, è detto “scienza della longevità”. Ayu significa ‘vita’ e veda ‘conoscenza’. Impossibile rintracciare le origini di questa scienza, basata unicamente su fitocomposti quanto ai farmaci, ma la cui pratica non si limitava a quella del medico così come noi lo conosciamo, in quanto occorreva possedere doti sciamaniche. Per citare uno dei più antichi medici ayurveda di cui sia rimasta traccia, Charaka, vissuto qualcosa come venti secoli fa, «un medico che non è in grado di penetrare il corpo del paziente con la lampada della conoscenza e della comprensione non sarà in grado di curare le malattie. Occorre in primo luogo studiare i fattori, ivi compresi quelli ambientali, che influenzano la malattia, e in un secondo tempo individuare la diagnosi e prescrivere il trattamento. È più importante prevenire che curare» (dalla Charaka Samhita, il più celebre trattato di ayurveda, frutto di un’attenta revisione di un precedente trattato che un medico chiamato Agnivesha scrisse sotto la guida del suo illustre maestro Atreya). Charaka fu inoltre il primo medico a descrivere accuratamente fenomeni quali la digestione, il metabolismo e l’immunità. Secondo lui il funzionamento del corpo deriva dai tre dosha, o ‘umori’, presenti nell’organismo, i quali vengono prodotti mediante l’assorbimento dell’energia vitale attraverso il cibo che, durante la digestione, produce dosha (sangue) in diversa misura a seconda degli alimenti ingeriti e della costituzione di ogni singolo individuo. La malattia si produce quando l’equilibrio fra i tre dosha si altera; e la scienza dello ayurveda consiste proprio nel fornire alcuni rimedi che ristabiliscano tale equilibrio. Rintracciamo nel trattato di Charaka anche i primi rudimenti della genetica. Egli infatti sostiene che alcuni difetti fisici del corpo di un bambino, come ad esempio la cecità congenita, sia causata da una qualche imperfezione presente nell’ovulo materno o nello sperma paterno.
Il Charaka-Samhita venne tradotto in molte lingue fin dall’antichità, compreso l’arabo e il latino. Uno dei fondamenti di questo testo sta nell’assioma secondo cui non è sufficiente curare la malattia, ma occorre rimuoverne la causa. Nessun rimedio ayurvedico opera contro il naturale metabolismo umano, e i suoi rimedi non hanno effetti collaterali. Il fatto che nell’India antica non si sia costituito un corpo ufficiale di medici ha limitato, con il passare dei secoli e arrivando nell’èra moderna, il progresso di questa scienza, che oggi sta tuttavia subendo una rivalutazione e un ammodernamento, confrontandosi spesso in modo intelligente con la medicina moderna, ovvero con l’allopatia e l’omeopatia.