S A V I T R I

TRADUZIONE POLIMETRICA

- a cura del CENTRO STUDI arya -

Qualcuno ha chiesto ragguagli su come leggere la nostra traduzione polimetrica di Savitri nella giusta scansione, al fine di coglierne appieno la musicalità. Di seguito offriamo quindi tutto il primo canto con l’indicazione del metro poetico utilizzato per ogni singolo verso (vedi “legenda”), nonché la divisione degli emistichi (mediante apposizione di barra verticale) al fine di segnalare la brevissima pausa metricamente richiesta per ciascun verso doppio (la cosiddetta ‘cesura’, da non confondersi con lo ‘iato’ che è la pausa naturale intercorrente alla fine di ogni verso, in modo che esso si trovi magicamente immerso tra due zone di silenzio — come è noto, l’enjambement è rarissimo in Savitri).

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LEGENDA:

X decasillabo [accenti metrici principali: III - VI - IX sede]

XI endecasillabo [a maiore: VI - X; a minore: IV - VII - X, o IV - VIII - X]

XI+ endecasillabo epico [IV - XI ]

XII dodecasillabo [II - V - VIII - XI]

XIV alessandrino [VI - XIII]

X(I)V pentametro italiano [V (VI) - XIII (XIV)]

X(I)V(I) esametro italiano [III (IV/V) - XIV (XV)]

XVI doppio ottonario [VII - XV]

N.B.tenendo il mouse sopra i riferimenti tra parentesi quadre posti alla fine di ogni verso, si apre una “tooltip” che offre le indicazioni specifiche.

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Canto I

L’AURORA SIMBOLO

 

Era l’ora che precede | il risveglio degli Dei. [XVI]

Di traverso la via | dell’Evento divino [XIV]

l’enorme fronte presaga | della Notte, solitaria [XVI]

nel buio tempio suo d’eternità, [XI]

immobile giaceva | sul bordo del Silenzio. [XIV]

Quasi si percepiva, | opaco, impenetrabile, [XIV]

nel simbolo tenebroso | del suo ordire a occhi chiusi, [XVI]

dell’Infinito senza corpo il baratro; [XI]

un insondabile zero | occupava l’universo. [XVI]

Un potere del sé | caduto e illimitato [XIV]

destatosi fra un primo | e un ultimo Non-essere, [XIV]

rammentando le viscere | oscure da cui sorse, [XIV]

dal mistero insolubile | del nascere si volse [XIV]

e dal lento processo | della mortalità, [XIV]

sperando di cessare in vacuo Nulla. [XI]

Come in un buio inizio d’ogni cosa, [XI]

muta indistinta parvenza d’Ignoto [XI]

sempre un inconscio agire ripetendo, [XI]

cieco volere sempre prolungando, [XI]

cullò il torpore cosmico | della Forza ignorante [XIV]

il cui spasmo di sonno | creativo accende i soli [XIV]

e attrae le nostre vite | nel suo gorgo sonnambulo. [XIV]

Nel mezzo dell’enorme | vana trance dello Spazio, [XIV]

nel suo informe stupore | senza mente né vita, [XIV]

ombra errante in un Vuoto privo d’anima [XI]

proiettata di nuovo | in sogni incongruenti, [XIV]

la Terra roteava | negletta in cavi abissi, [XIV]

del proprio spirito e destino immemore. [XI]

Impassibili i cieli, | neutri, vacanti, fissi. [XIV]

Poi qualcosa si mosse | nel buio imperscrutabile: [XIV]

un moto senza nome, | un’Idea non pensata, [XIV]

insistente, mai pago, senza meta, [XI]

qualcosa ch’esser voleva | senza però saper come, [XVI]

incitò l’Incosciente | a destare Ignoranza. [XIV]

Un turbo giunse, lasciando | una traccia tremolante, [XVI]

fece spazio a un vecchio e stanco | inappagato bisogno, [XVI]

inerte nell’illune | sua grotta subcosciente, [XIV]

sollevandogli la testa | in cerca di luce assente, [XVI]

forzando gli occhi chiusi | di memoria svanita, [XIV]

come chi, ricercando un sé passato, [XI]

trova solo il cadavere | del proprio desiderio. [XIV]

Era come se perfino | nel fondo di questo Nulla, [XVI]

nel nucleo stesso di questa | estrema dissoluzione, [XVI]

si nascondesse un’entità immemore, [XI]

superstite d’un morto | e sepolto passato, [XIV]

condannata a riesumare | lo sforzo e lo struggimento [XVI]

per vivere di nuovo | in un mondo frustrato. [XIV]

Una coscienza informe | desiderò la luce [XIV]

e un vacuo presagire | bramò un remoto mutare. [XVI]

Simile a uno sfiorare | di dita d’un bambino [XIV]

che ricorda l’eterno | bisogno nelle cose [XIV]

alla Madre dei mondi trasognata, [XI]

una brama d’infante | si strinse al cupo Vasto. [XIV]

Inavvertita, una breccia | da qualche parte si aprí: [XVI]

lunga linea solitaria | d’incerta tonalità, [XVI]

simile a un vago sorriso | che tenta un cuore deserto, [XVI]

turbò la lontana riva | d’atro sonno della vita. [XVI]

Giunto dall’altra parte | dell’illimitatezza [XIV]

l’occhio d’un dio scrutò i muti baratri; [XI]

perlustrando, solare messaggero [XI]

pareva in quella greve pausa cosmica, [XI]

nel torpore d’un mondo stanco e infermo, [XI]

in cerca d’uno spirito | solo e desolato [XIV]

caduto troppo in basso | per l’estasi perduta. [XIV]

Evocando in un cosmo senza mente [XI]

— insinuante messaggio | fra caparbio tacere [XIV]

— l’avventura della coscienza e la gioia, [XI+]

prevalse sull’affranto | petto della Natura, [XIV]

forzando un nuovo consenso | a vedere e a sentire. [XVI]

Un pensiero attecchí | nell’insondato Vuoto, [XIV]

un senso nacque al fondo delle tenebre, [XI]

pulsò un ricordo nel cuore del Tempo [XI]

pari a un’anima defunta | sospinta a una nuova vita: [XVI]

ma l’oblio susseguente la caduta [XI]

erose i fitti steli del passato [XI]

e quanto fu distrutto | era da ricreare [XIV]

e l’antica esperienza | da tentare di nuovo. [XIV]

Tutto può essere fatto | se c’è il tocco divino. [XVI]

S’infiltrò una speranza | che essere osava appena [XVI]

nell’aspra indifferenza della Notte. [XI]

Come sollecitata in mondo alieno, [XI]

timido ardire di grazia istintiva, [XI]

orfana abbandonata | in cerca d’un rifugio, [XIV]

raminga meraviglia | senza un luogo per vivere, [XIV]

in un remoto cantuccio di cielo [XI]

giunse, lento, prodigioso, | il lieve accenno d’un gesto. [XVI]

Il fremito persistente | d’un tocco trasfigurante [XVI]

l’inerte oscuro quietismo persuase [XI]

e bellezza e meraviglia | scossero le sacre lande. [XVI]

Una mano avventurosa | di lieve lume d’incanto [XVI]

lucente sul bordo | d’un attimo breve, [XII]

d’aurea parete e cardine d’opale [XI]

porta di sogni schiuse | ai bordi del mistero. [XIV]

Un chiarente spiraglio | sulle realtà segrete [XIV]

la vista impose alla cieca | immensità del mondo. [XVI]

La tenebra scemava | come un manto che cade [XIV]

dal corpo prono di una deità. [XI]

E al fragile aprirsi d’un albore, [XI]

stille appena di sole a un imperlare [XI]

si riversò rivelazione e fiamma. [XI]

Breve perpetuo segno accorse in cielo. [XI]

Malía di trascendenze mai raggiunte [XI]

iridata di gloria dell’Arcano, [XI]

messaggio d’immortale Luce ignota [XI]

ardente alle vibranti | soglie della creazione, [XIV]

l’alba accese la sua aura | di magnifici colori [XVI]

e il suo seme di grandezza | depositò nelle ore. [XVI]

Ospite d’un istante, | splendette la deità. [XIV]

La Visione indugiò un poco | sul crinale della vita [XVI]

e si sporse sull’assorta | fronte curva della terra. [XVI]

Interprete di gioia | e di beltà recondite [XIV]

in geroglifici accesi | di mistico contenuto, [XVI]

scrisse i versi d’un mito rilevante [XI]

che annunciava la gloria | di aurore spirituali, [XVI]

brillante codice iscritto | sulla pagina del cielo. [XVI]

Quel giorno parve epifania svelare [XI]

di cui pensieri e speranze | da noi còlti sono tracce; [XVI]

un solitario splendore | dall’invisibile meta [XVI]

si gettò quasi entro l’opaco Inane. [XI]

Un passo turbò di nuovo | le vacanti Vastità; [XVI]

centro dell’Infinito, | un Volto d’ebbra calma [XIV]

dischiuse a paradiso eterne palpebre; [XI]

Forma di beatitudini | remote parve prossima. [XIV]

Ambasciatrice fra eternità e cambio, [XI]

la Deità onnisciente | si chinò sulle ampiezze [XIV]

che avvolgono il fatidico | viaggiare delle stelle [XIV]

e spazi vide aperti al suo cammino. [XI]

Si girò appena al suo sole velato, [XI]

poi si diresse, pensosa, | al suo lavoro immortale. [XVI]

La Terra sentí giungere | l’eterna Meraviglia: [XIV]

l’orecchio della Natura, | attento, udí i suoi passi [XVI]

e l’immensità le volse | il suo sguardo illimitato [XVI]

e sugli abissi reclusi | lei versò il suo sorriso: [XVI]

arse fuoco di gioia | nel silenzio dei mondi. [XIV]

Tutto divenne un rito | e un atto consacrato; [XVI]

l’aria, vibrante tramite, | univa terra e cielo; [XIV]

l’inno dalle ampie ali | d’un gran vento ieratico [XIV]

si levò per poi svanire | sull’ara delle colline; [XVI]

gli alti rami pregarono | in un cielo svelato. [XIV]

Qui, dove la nostra ombrosa | ignoranza sfiora abissi [XVI]

sul muto seno dell’ambigua terra, [XI]

qui dove non si conosce | nemmeno il passo seguente [XVI]

e Verità ha il suo trono | sul dorso buio del dubbio, [XVI]

su tal campo di fatica | angoscioso e precario [XVI]

dispiegato sotto un qualche | ampio sguardo indifferente, [XVI]

imparziale testimone | delle nostre gioie e pene, [XVI]

il nostro suolo prostrato | sostenne il raggio che desta. [XVI]

Perfino qui la visione | e il profetico barlume [XVI]

apparenze ordinarie | accese di portento; [XIV]

poi l’afflato divino | s’estinse, ritraendosi, [XIV]

svanendo non voluto | dall’orbita mortale. [XIV]

Una sacra nostalgia | indugiò sulle sue tracce, [XVI]

culto di una Presenza e di un Potere [XI]

troppo perfetti per stare | in cuori votati a morte, [XVI]

presagio d’una nascita | a venire, sublime. [XIV]

Breve permane in noi luce divina: [XI]

la bellezza spirituale | che accende umana visione [XVI]

segna d’empito e mistero | la maschera di Materia [XVI]

e l’eternità dissipa | in un battito di tempo. [XVI]

Pari a un’anima prossima | alle soglie del nascere, [XIV]

riunendo l’Atempore al tempo mortale, [XI]

lampo divino che scema | nella cripta di Materia, [XVI]

svanire d’un fulgore | nei piani dell’inconscio, [XIV]

quel momentaneo ardere | di fuoco di magia [XIV]

si dissolse nel chiaro d’ogni giorno. [XI]

Il messaggio cessò | e svaní messaggera. [XIV]

Il singolare Richiamo, | la solitaria Potenza, [XVI]

trasse in qualche remoto mondo arcano [XI]

tinta e prodigio del raggio superno: [XI]

lei piú non guardò | mortale esistenza. [XII]

L’eccesso di bellezza | consueto per gli dèi [XIV]

non poté soggiogare | occhi nati nel tempo; [XIV]

di realtà troppo mistica | per stare nello spazio, [XIV]

il suo corpo di gloria | fu radiato dal cielo: [XIV]

incanto e rarità oltre non vissero. [XI]

Era la luce ordinaria | della giornata terrestre. [XVI]

Da tregua alla fatica svincolato, [XI]

il trepido frastuono | del ritmo della vita [XIV]

riprese la successione | della sua cieca ricerca. [XVI]

Tutti correvano ai propri | fissi atti quotidiani; [XVI]

le miriadi fra i rami e nella gleba [XI]

obbedirono all’impulso | dell’istante non previsto [XVI]

e, guida qui con la sua mente incerta, [XI]

il solo a scrutare il volto | coperto dell’avvenire, [XVI]

l’uomo prese il fardello del suo fato. [XI]

 

E anche Sàvitri sorse | in mezzo a tali tribú [XVI]

accorrenti all’eclatante | canto del Convocatore [XVI]

e, sedotte dal fascino | delle vie apparenti, [XIV]

reclamavano parte | di un’effimera gioia. [XIV]

Pari all’eternità | dalla quale giungeva, [XIV]

non ha mai partecipato | a tali anguste lusinghe; [XVI]

potenza estranea nel terreno umano, [XI]

l’Ospite incarnato in lei | non rispondeva a quel canto. [XVI]

L’appello che fa sbalzare | l’umana mentalità [XVI]

al variegato muovere | di un avido cercare [XIV]

tingendo il desiderio | d’occhieggiante illusione, [XIV]

visitò il suo cuore | qual dolce nota aliena. [XIV]

Non per lei la breve luce | del messaggio temporale. [XVI]

In lei era l’angoscia degli dèi [XI]

rinchiusi nella nostra | umana forma effimera, [XIV]

l’immortale conquistato | dalla morte delle cose. [XVI]

La gioia d’una piú vasta | Natura un tempo fu sua, [XVI]

ma non poté preservare | l’aurea tinta celestiale [XVI]

né trovare sostegno | su questa terra labile. [XIV]

Nel fondo abisso del tempo, | la fragile piccolezza [XVI]

della vita, spasmo inetto, | il potere rinnegò, [XVI]

quel fiero e conscio espandersi e la gioia [XI]

da lei portati nella forma umana, [XI]

la beatitudine quieta | che sposa un’anima a tutte, [XVI]

la chiave delle porte | fiammeggianti dell’estasi. [XIV]

Linfa di piacere e pianto | brama il seme della terra [XVI]

rifiutando l’offerta | dell’ebbrezza immortale: [XIV]

alla figlia dell’infinito offrí [XI]

il suo fior-di-passione | d’amore e di condanna. [XIV]

Invano ormai figurava | lo splendido sacrificio. [XVI]

Prodiga della sua ricca deità, [XI]

aveva donato all’uomo | se stessa e ciò che lei era, [XVI]

sperando di radicarvi | il suo essere piú vasto [XVI]

e nella loro vita | corporea acclimatarlo, [XIV]

trapianto d’infinito | nel terreno mortale. [XIV]

Restía è la natura | terrestre al trasmutare; [XIV]

mal sopporta, il mortale, | il tocco dell’eterno: [XIV]

teme l’immacolata | divina intolleranza [XIV]

di quell’assalto d’etere e di fuoco; [XI]

protesta contro una tale|  felicità senza pena, [XVI]

quasi con odio respinge | il dono di quella luce; [XVI]

la terrorizza quel nudo | potere di Verità [XVI]

e la forza e la dolcezza | della sua Voce assoluta. [XVI]

Infliggendo alle altezze | la legge dell’abisso, [XIV]

imbratta con il suo fango | i messaggeri del cielo: [XVI]

spine della sua natura | caduta pone a difesa [XVI]

del salvifico tocco della Grazia; [XI]

ripaga i figli di Dio | con la morte e la tortura. [XVI]

Quali lampi di gloria | sulla scena terrestre [XIV]

— i loro pensieri-sole | da menti cieche eclissati, [XVI]

tradito il loro lavoro, | il bene volto nel male, [XVI]

la croce ricompensa | per chi offrí la corona [XIV]

— essi si lasciano dietro | solo uno splendido Nome. [XVI]

Un fuoco è giunto, ha toccato | i cuori umani ed è andato; [XVI]

pochi hanno colto la fiamma | sorgendo a piú grande vita. [XVI]

Troppo diversa dal mondo | che lei è giunta a salvare, [XVI]

la sua grandezza pesava | su questo petto ignorante [XVI]

il cui baratro eruttava | un rigurgito tremendo, [XVI]

parte della sua pena | e conflitto e caduta. [XIV]

Convivere col dolore, | andare incontro alla morte [XVI]

— spartita dall’Immortale | fu la sorte dei mortali. [XVI]

Ghermita nei grovigli | dei terrestri destini, [XIV]

in attesa dell’ora | della sua ordalía, [XIV]

bandita dalla sua innata gioia, [XI]

la tèrrea veste oscura | della vita accettando, [XIV]

celandosi perfino a quanti amava, [XI]

la deità fu ancor piú grande | accogliendo umana sorte. [XVI]

Un cupo presagire la estraniava [XI]

da coloro di cui | era stella e sostegno; [XIV]

troppo grande per spartire | il rischio e la sofferenza, [XVI]

nei suoi lacerati abissi | celava il duolo a venire. [XVI]

Simile a chi, badando | a degli uomini ciechi, [XIV]

porta il fardello d’una specie ignara, [XI]

ospitando un avversario | da nutrire nel suo cuore, [XVI]

ignota la propria azione | e la sorte che affrontava, [XVI]

senz’aiuto presagire | dovea, paventare, osare. [XVI]

L’alba prevista da tempo | e fatidica era giunta, [XVI]

portando un giorno che parve | simile a ogni altro giorno. [XVI]

La Natura infatti avanza | sul suo imponente percorso [XVI]

incurante di abbattere | un’anima, una vita; [XIV]

lasciando le sue vittime, | prosegue il suo cammino: [XIV]

solo l’uomo se ne avvede | e il Divino onniveggente. [XVI]

Perfino in questo momento | della sua anima afflitta, [XVI]

nel suo tragico incontro | con la morte e il terrore, [XVI]

non le sfuggí un lamento, | nessun grido di soccorso; [XVI]

non rivelò a nessuno | il segreto del suo strazio: [XVI]

calmo il suo volto, muto di coraggio. [XI]

Ma soffriva e lottava | solo il suo sé esterno; [XIV]

pur la sua umanità | era semi-divina: [XIV]

il suo spirito si apriva | allo Spirito in tutto, [XVI]

la sua natura sentiva | propria l’intera Natura. [XVI]

In disparte, nell’intimo, | sosteneva ogni vita; [XIV]

sola, dentro di sé | portava il mondo intero: [XIV]

il suo tormento era uno | col tormento universale, [XVI]

la sua forza poggiava | sui poteri del cosmo; [XIV]

l’amore della Madre | dei mondi era il suo. [XIV]

Contro il male che affligge | la vita alle radici, [XIV]

segno particolare | la sua calamità, [XIV]

lei fece delle sue pene | aguzza mistica spada. [XVI]

Solitaria la sua mente, | cuore grande quanto il mondo, [XVI]

andò al lavoro esclusivo | che pertiene all’Immortale. [XVI]

Dapprima non fu oppressa | nel suo petto dalla vita: [XVI]

nel grembo del primevo | torpore della terra, [XIV]

inerte, nell’oblío | abbandonata, essa [XIV]

giaceva prona sul bordo | della mente, incosciente, [XVI]

tranquilla e ottusa come stella o pietra. [XI]

In faglia di silenzio | profonda tra due regni [XIV]

lei riposava lontana | dalla pena e dagli affanni, [XVI]

e nulla le ricordava | il dolore di quaggiú. [XVI]

Poi, indistinto, lento, | mosse d’ombra un ricordo, [XIV]

e lei con un sospiro | pose la mano al petto [XIV]

e riconobbe intimo | il dolore protratto, [XIV]

profondo, quieto, antico, | ormai connaturato, [XIV]

senza sapere come o donde giunse. [XI]

Il Potere che il pensiero | accende era ancora assente: [XVI]

stanchi, svogliati i servi della vita [XI]

simili a operai privi | d’un salario di gioia; [XIV]

smorta, la torcia dei sensi | rifiutava di bruciare; [XVI]

senz’aiuto, il cervello | non trovò il suo passato. [XVI]

Solo una vaga natura | tèrrea ne serbò la forma. [XVI]

Ma ora lei si destava, | portando il peso del cosmo. [XVI]

All’invito del richiamo | senza voce del suo corpo [XVI]

il suo spirito alato, | possente, tornò indietro, [XVI]

indietro al giogo d’ignoranza e fato, [XI]

indietro all’opre e all’assillo dei giorni, [XI]

rischiarando un sentiero | fra strani sogni simbolo [XIV]

nel rifluire dei mari del sonno. [XI]

La sua casa di Natura | sentí un influsso segreto [XVI]

e giunse presto la luce | nei vani bui della vita, [XVI]

le finestre del ricordo | s’aprirono sulle ore [XVI]

e il piede del pensiero | esausto accostò le sue porte. [X(I)V(I)]

Di tutto lei si sovvenne: | la Terra, l’Amore e il Fato [XVI]

la circondarono, antichi avversarî, [XI]

quali figure giganti | nell’arena della notte: [XVI]

le divinità nate | dall’Incosciente oscuro [XIV]

si destarono alla lotta | e al patimento divino [XVI]

e, fra le ombre del suo cuore in fiamme, [XI]

al centro cupo del conflitto atroce, [XI]

guardiano dell’abisso sconsolato, [XI]

della lunga agonia del globo erede, [XI]

il volto pietrificato | dell’alto dio di Dolore [XVI]

fissò lo spazio coi suoi occhi vuoti [XI]

scorgendo immensa afflizione, | mai la meta della vita. [XVI]

Dalla propria deità spietata afflitto, [XI]

incatenato al suo trono, | attendeva inappagato [XVI]

l’oblazione quotidiana | di pianto che lei mai diede. [XVI]

Tutto il feroce problema | delle ore umane tornò. [XVI]

Il sacrificio di dolore e brama [XI]

offerto dalla Terra | all’Estasi immortale [XIV]

ricominciò sotto la Mano eterna. [XI]

Desta, lei, la serrata | marcia d’istanti attese [XIV]

e osservò il mondo rischioso | dal sorriso verdeggiante [XVI]

e udí il grido ignorante | delle cose viventi. [XIV]

Fra i rumori consueti, | nella scena immutata, [XIV]

la sua anima s’erse | contro il Tempo e il Destino. [XIV]

Immobile in se stessa, | raccoglieva le forze. [XIV]

Questo giorno doveva | morire Satyavàn. [XIV]

 

FINE PRIMO CANTO