copertina

«Pururavas, accogliendo la perfetta immagine di Urvashi,
la immerge nel suo stesso fuoco e ardore,
avvolgendola in un alone di magnificenza e di gloria
che gli permette di rivelarsi
nel mentre che cerca di interpretarla.
Kalidasa possiede il dono del perfetto artista,
che permuta in oro tutto quello che tocca.»
SRI AUROBINDO

 

Siamo lieti di presentare la traduzione in italiano di uno dei massimi capolavori della poesia drammaturgica sanscrita: il Vikramorvashiyam, o “URVASHI e PURURAVAS”.

La traduzione (in endecasillabi) di quest’opera è stata realizzata dal poeta Tommaso Iorco.
Il testo originale a fronte è in sanscrito, nei suoi consueti caratteri devanagari.

L'introduzione (circa 50 pagine) è affidata alla penna magistrale di Sri Aurobindo.

 


 

Kalidàsa è considerato il più grande poeta dell’India classica, come Valmìki e Vyàsa lo sono dell’India antica. Notevoli le divergenze tra gli studiosi riguardo l’esatta collocazione temporale in cui collocarlo (l’arco va dal I sec. a.C. al VI sec. d.C.). In ogni caso, è considerato l’incarnazione ideale di tutte quelle tradizioni associate all’elevato livello artistico e culturale che contraddistinse il periodo classico dell’India: raffinatezza estetica, vitalità esuberante, esemplare prodigalità, discreta apertura spirituale, assenza di settarismi, natura indagatrice e curiosa, capacità artistiche di prim’ordine nel descrivere l’infinita gamma delle emozioni e dei sentimenti umani.

Oscar Botto offrì a questo grandissimo poeta il seguente encomio: «Kalidasa ricorre agli artifici della poesia ricercata non certo per nascondere una assenza di ispirazione, ma per sostenere con arte consumata l’immagine più ardita, là dove l’espressione comune potrebbe risultare manchevole. Ma la misura con cui Kalidasa fa ricorso a tali artifici è così contenuta che questi sembrano quasi essere una seconda imprescindibile natura della sua stessa composizione poetica. Genialità inventiva, tecnica artistica, versatilità alla rima si contemperano e si fondono in una perfetta e mirabile armonia per cui l’opera assurge ad altezze veramente sublimi. Tra l’arte ancora rozza di Asvaghosha e il preziosismo barocco ed esasperato dei più tardi autori dello stile kavya, l’arte di Kalidasa rappresenta il vero ‘momento’ di equilibrio. Il suo linguaggio è ad un tempo semplice e suggestivo, elegante ma libero da faticosi preziosismi. Il lessico, ricco e vario, si presta a creare similitudini illustrative di rara bellezza ed efficacia. Geniale intuizione dei veri e immediati valori drammatici, sensibilità poetica, abilità rappresentativa, equilibrio estetico, sono dunque gli indiscutibili fattori della grandezza immortale di Kalidasa.»

Delle svariate opere attribuite a questo eccelso poeta classico dell’India, sette sono certamente sue e spaziano nei tre generi poetici riconosciuti oggi come allora: lirico (svandakavya), epico (mahakavya), drammaturgico (natyakavya).

Poesia lirica:

Meghaduta (“Il nuvolo messaggero”);

Rtusamhara (“La ronda delle stagioni”).

Poesia epica:

Raghuvamsha (“La stirpe di Ràghu”).

Kumarasambhava (“La nascita di Kumàra”);

Poesia drammaturgica:

Malavikagnimitram (“Màlavika e Agnimìtra”);

Vikramorvashiyam (“Urvàshi e l’eroe” Purùravas).

Abhijñanashakuntala (“L’agnizione di Shakuntalà”);

La vicenda del Vikramorvashiyam (da noi intitolata “Urvashi e Pururavas”) è ambientata in epoca protostorica, quando Pururavas, il primo mitico re della dinastia lunare (figlio di Ila e Budha e nipote di Chandra), svolgeva il suo ruolo di ‘sovrano universale’ (cakravartin). La vicenda rappresenta l’eterno dramma del rapporto d’amore fra l’umano e il divino ed esisteva già molto prima di Kalidasa, ma non aveva mai assunto piena dignità letteraria. Le prime tracce della vicenda si trovano addirittura nel Rgveda (X.95), per poi essere riprese in numerose rielaborazioni, segno della grande popolarità della leggenda: dallo Shatapatha Brahmana (II.5.1), a varî Purana (in particolare Vishnu, Padma e Matsya Purana), al Mahabharata con il suo Harivamsha, al Kathasaritsagara.

Per la traduzione, che (come nostra consuetudine) abbiamo voluto rendere in versi per rispetto dell’originale, ci siamo avvalsi del verso principe della poesia italiana, l’endecasillabo, con la massima cura nel cercare di soddisfare anche le necessità di una eventuale messinscena.

In apertura, abbiamo ritenuto indispensabile proporre un illuminante saggio introduttivo di Sri Aurobindo, in modo da offrire al lettore la migliore fruizione possibile di questo capolavoro drammaturgico. Molto sarebbe da dire a proposito di questa introduzione (vedi l'articolo di approfondimento segnalato in basso)... Limitiamoci qui a osservare che lo stesso Sri Aurobindo la considerò sempre come uno dei suoi testi più importanti da pubblicare: per limitarci a fare un esempio, in una epistola del 30 giugno 1949, contenente le indicazioni per un programma editoriale delle sue più importanti opere in prosa, la mette in elenco, insieme a The Life Divine e a un paio di altri titoli. E, in effetti, tra le righe di questo testo di critica poetica, pulsa un segreto fondamentale, mai affrontato altrove con pari minuzia. Chi è abituato a immergersi negli scritti di Sri Aurobindo, sa bene che è proprio  nelle occasioni più inaspettate (come alcune lettere dal sapore deliziosamente umoristico e dedicate ai più svariati argomenti) che egli ha sapientemente celato i suoi maggiori tesori, peraltro disseminati a profusione nelle Sue opere d’inchiostro.

Uno dei primi e più graditi riscontri di lettura ci è giunto da Donatella Angelini, Presidente della Associazione Culturale So'ham:

«Caro Tommaso,
                mi sono dilettata con la lettura del dramma di Kalidasa e volevo comunicarti il mio apprezzamento, veramente alta poesia! L’amore cantato nella perfetta misura tra sensualità, sentimento, emozione e spirito. Dovrebbero gli umani ispirarsi a versi come quelli, per nutrire i loro cuori inariditi e incapaci di esprimere sentimenti veri. Ogni giorno propinano volgarità in immagini e parole. Anche le donne dovrebbero saggiamente ritrovare un po’ di tale vibrazione di pura femminiltà incantatrice, per riscoprire la loro forza autentica.
   Grazie di avere offerto tale opportunità. Ovviamente l’introduzione di Sri Aurobindo impreziosisce l’opera e rivela ancora una volta il Suo grande rispetto per la materia come manifestazione divina, anche nei suoi aspetti tanto vituperati e considerati corruttori dello spirito (solo una persona che non abbia mai amato veramente, può credere ciò).
Donatella»

 

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