Oggi, 21 maggio 2012, pubblichiamo una Conversazione di Mère risalente esattamente a cento anni fa.

È la prima volta che viene pubblicata in italiano e il contenuto ci pare particolarmente importante e di intramontabile attualità.

La conversazione si tenne a Parigi — Mère aveva 34 anni.

Due anni dopo, partì per l'India dove incontrò Sri Aurobindo — e subito si 'ri'conobbero.

La traduzione dall'originale francese è di Tommaso Iorco.

Buona lettura!

 

 

CONVERSAZIONE
DEL 21 MAGGIO 1912

 

Da un punto di vista generale, l’ostacolo si confonde con la ragione stessa dell’opera da compiere: lo stato d’imperfezione attuale della materia fisica.

Essendo costituiti di una sostanza imperfetta, noi non possiamo esimerci dal partecipare a questa imperfezione.

Quale che sia il grado di perfezione, di coscienza, di conoscenza del nostro essere profondo, il solo fatto di incarnarsi in un corpo fisico crea ostacoli alla purezza della sua manifestazione; e, d’altro canto, la sua incarnazione ha per scopo la vittoria su tutti gli ostacoli, la trasformazione della materia. Pertanto, non dobbiamo stupirci né avvilirci quando incontriamo ostacoli dentro di noi, in quanto non esiste un solo essere sulla terra che non abbia difficoltà da superare.

La causa di questa imperfezione può mostrarsi a noi da due diverse angolature, una generale, l’altra individuale.

Sotto il profilo generale, l’imperfezione della materia proviene dalla sua mancanza di ricettività nei confronti delle forze più sottili che devono manifestarsi attraverso di essa. Ma questa stessa mancanza di ricettività presenta una molteplicità di cause, la cui esposizione ci condurrebbe troppo oltre. In definitiva, credo che tutte le difficoltà risiedano nell’illusione della personalità, vale a dire l’illusione che una parte possa essere separata dal tutto.

Per evitare di speculare sulla necessità di questa illusione per l’esistenza stessa dell’universo come noi lo conosciamo, affronterò la questione esclusivamente dalla prospettiva terrestre e umana.

Questa illusione dell’ego separato dal tutto produce in noi due tendenze.

La prima proviene da un bisogno inconscio di identificazione con il tutto. Ma, a causa dell’illusione stessa della personalità, ognuno concepisce questa identificazione unicamente come un assorbimento in sé e vorrebbe, in qualche misura, essere il centro di questo tutto. Per conseguenza, in proporzione alla propria forza intellettuale o fisica, ciascuno cerca di attirare a sé tutto quello di cui è cosciente per accrescere sempre più la propria personalità. Si tratta del risultato di un desiderio legittimo nella sua essenza — prendere coscienza di tutto — ma ignorante nella propria espressione, perché se esiste un metodo per prendere coscienza di tutto, non è certo cercando di accentrare tutto in sé, il che è assurdo e irrealizzabile, ma arrivando a identificare la propria coscienza con la coscienza del tutto, la qual cosa esige il movimento e l’attitudine esattamente opposti.

La seconda tendenza, che peraltro costituisce una naturale conseguenza della prima, si esplica in un eccessivo spirito di conservazione, una rigidità dell’intera natura, intellettuale, etica, fisica, che pone l’individuo nell’impossibilità di trasformarsi nel modo più rapido possibile in modo da trovarsi costantemente in accordo con la legge del progresso universale.

Si direbbe che l’individuo tema di non essere più sufficientemente distinto dagli altri qualora favorisse uno scambio eccessivamente libero e vasto con il tutto.

D’altronde, la fissità deriva dal desiderio di voler accaparrare e dall’errore consistente nel credere di poter essere i proprietari di qualcosa nell’universo. Crediamo che gli elementi di cui siamo composti ci appartengano in modo esclusivo. Consciamente o inconsciamente, vogliamo preservarli anche quando siamo disposti ad attirarne altri per poterli sommare ai primi; tuttavia, dimentichiamo che, non essendo la separazione un fatto reale, noi non possiamo ricevere nulla se non doniamo.

Siamo l’anello della catena: l’anello non aumenterà di volume a discapito dei suoi vicini. Ma se trasmette fedelmente la vibrazione che ha ricevuto, ne riceverà un’altra e, più la propria trasmissione sarà completa e rapida, più verrà messo in rapporto con una notevole quantità di forze o di elementi che dovrà utilizzare o manifestare. E così, a poco a poco, senza accentrare né trattenere nulla per sé, potrà prendere conoscenza di tutto, essere in rapporto con tutto.

In merito alle obiezioni che potrebbero essermi sollevate e che anticipo, aggiungo quanto segue.

Parlando di questa illusione della personalità, non intendo negare che ciascuno abbia una modalità speciale di manifestazione. Differenziazione non implica necessariamente divisione. Perché mai la catena avrebbe tanti anelli innumerevoli se ciascuno non svolgesse una sua peculiare funzione?

E un’altra analogia si impone per completare la prima, essendo ogni analogia per forza di cose parziale.

Consideriamoci come le cellule di un immenso organismo vivente e comprenderemo immediatamente che la cellula, la quale per la propria esistenza dipende dalla vita dell’intero organismo e che non può separarsene senza essere sottoposta a distruzione, svolge un proprio ruolo speciale nell’insieme.

Ma questo ruolo è precisamente quanto si trova di più profondamente spontaneo nel nostro essere; non necessita di alcuna affermazione egoica della personalità per essere compreso. Al contrario, più noi ci consacriamo completamente a un’azione universale, più questo ruolo si fortifica e si precisa in noi. Ed è proprio questo ruolo che costituisce la nostra vera individualità, rappresentando il nostro modo speciale di manifestare l’Essenza Divina una in tutto e in tutti.

MÈRE