LA TRADUZIONE POETICA
(estratti da un articolo di Sri Aurobindo)


Intorno al 1903 Sri Aurobindo scrisse un articolo
(senza titolo, ritrovato in uno dei suoi note-book)
sulle possibilità di effettuare delle traduzioni poetiche.
È un argomento che ci stimola particolarmente,
avendo pubblicato l’intera Opera poetica di Sri Aurobindo
utilizzando i versi italiani (in particolare l’endecasillabo).

«Da quando le differenti tribù della Babele umana hanno iniziato a studiare le reciproche letterature, il problema della traduzione poetica ha costantemente ammaliato i più onesti sperimentatori. Abbiamo conosciuto splendide versioni, efficaci falsificazioni, oneste trasposizioni, ma — a eccezione di poche singole liriche — una traduzione compiutamente riuscita non è mai stata prodotta. Eppure, non può esistere sforzo così sinceramente e caparbiamente perseguito e così necessario alla perfezione della cultura e al progresso della civiltà che possa rivelarsi vano o costituire una chimera.
La traduzione poetica è stata a lungo dominata dal pregiudizio che la parola esplicita rappresenti il fattore principale del linguaggio e che l’unità fosse da ricercarsi su questo presupposto di base; il risultato è stato ravvisato in traduzioni (cosiddette) che riproducessero in modo impeccabile il senso dell’originale, recanti una atmosfera del tutto aliena dall’atmosfera dell’originale; e si è preso a ritenere una siffatta traduzione come fedele o degna di stima, oppure un ripiego o un caput mortuum a seconda delle predilezioni e della misura della nostra sensibilità. Il XVIII secolo è stato il primo a riconoscere in linea di massima che esiste uno spirito dietro la parola, il quale ha il predominio sulla parola stessa, mostrando la fallacia del traduttore “fedele” e sottolineando l’importanza prevalente di ricalcare lo spirito di un determinato poeta piuttosto che il suo senso pedissequo. Tuttavia, ci si è accontentati di un principio generico e non si è cercato di individuare i canoni mediante i quali la generalizzazione potesse essere calata nella pratica, verificandone la sua portata e i suoi limiti. Ogni singolo traduttore è diventato perciò una legge a sé stante e il risultato è stato la confusione anarchica. L’unico beneficio tangibile è stato l’individuazione di una nuova arte, non ancora perfetta, di tradurre la poesia mediante la prosa poetica. Una simile traduzione presenta molteplici vantaggi: permette al traduttore di produrre una variegata ricchezza ritmica senza sottoporsi all’impresa di creare dei versi poetici, oltre a realizzare un compromesso con la superstizione ortodossa di trasporre l’unità verbale con l’illusione di preservarne l’originale sapore. Tuttavia, anche la più riuscita di queste traduzioni si rivela essere poco più di una avvenente ostentazione. La poesia può essere tradotta solo mediante la poesia e la versificazione unicamente con l’ausilio di analoghi versi. Resta da individuare il metodo di una traduzione compiuta con uno spirito meno azzardato al fine di realizzare il nostro obiettivo fondamentale, definire con precisione quali elementi in poesia richiedono una trasposizione, fino a che punto e mediante quali canoni di valori equivalenti ciascuna poesia possa essere resa e, se non è possibile riprodurre ogni suo aspetto, quali sono gli aspetti che possono essere sacrificati senza con ciò inficiare il valore essenziale della traduzione. Non pretendo di essere arrivato a cogliere il metodo giusto, ma sono certo che soltanto simili ponderati e consapevoli tentativi possano condurre a tale giusto metodo.
La scelta del metro è la prima e più pregnante questione che un traduttore deve affrontare. Tentativi sempre più frequenti vengono effettuati per riprodurre in versioni poetiche il metro preciso dell’originale. Simili approcci si basano su un fondamentale fraintendimento delle scaturigini della poesia. In poesia, come in ogni altro fenomeno, è lo spirito che dirige, mentre la forma è la sua espressione esteriore e lo strumento dello spirito. E ciò è vero al punto che la forma stessa esiste quale manifestazione dello spirito e non possiede una esistenza indipendente. Quando, per esempio, affrontiamo l’esametro omerico, ci troviamo di fronte a un determinato equilibrio di forza spirituale che noi chiamiamo Omero e che opera attraverso l’emozione nella forma materiale di un preciso calco di suono ritmico, il quale obbedisce, entro i limiti della propria regolarità e delle proprie variazioni, alla legge dello spirito interiore… Al di là del metro, dello stile e della dizione, vibra quel qualcosa che sfugge ogni analisi e che ci conduce ad affermare: “questo è Omero, questo è Shakespeare, questo è Dante”.
Ma, proprio come il corpo di un uomo, è anch’esso una forma dell’anima, dato che ogni singola cellula esprime qualcosa dello spirito, così pure avviene per la forma fisica di un verso. L’importanza del metro poetico sorge dal fatto che differenti disposizioni di suoni producono differenti valori emotivi e spirituali, tendenti a produrre — in virtù della successione regolare di suoni — una precisa atmosfera spirituale e un determinato tipo di esaltazione emotiva e, pur essendo il mero potere creativo del suono qualcosa di materiale, resta prossimo allo spirito… Si tratta di un elemento che è di primaria importanza in musica e in poesia. In questa diversa formazione di suoni sillabici, la forma metrica è la più importante o, per lo meno, l’elemento più tangibile. Qualunque poeta abbia sondato la propria coscienza è consapevole che l’utilizzo del metro costituisce la porta di accesso dell’ispirazione e la legge del proprio successo. Quando il metro poetico sopraggiunge nel modo appropriato, tutto il resto segue adeguatamente; quando il metro viene creato con fatica, tutto il resto viene prodotto faticosamente, e il risultato deve essere elaborato e rielaborato finché non giunga a risultare soddisfacente.
Per arrivare a creare un effetto spirituale, emotivo ed estetico analogo all’originale, la prima condizione di una traduzione consiste ovviamente nell’identificare la nostra condizione spirituale, per quanto possibile, con quella del poeta nel momento in cui questi compose quella specifica opera e, quindi, rendere l’emozione nel verso. Questo non è possibile senza individuare un metro che abbia un analogo valore emotivo e spirituale rispetto al metro originale. E, una volta individuato, il completo successo si produrrà solo se la coscienza del traduttore riuscirà a percepire una sufficiente prossimità, un sufficiente contatto emotivo e spirituale e una sufficiente base di poteri poetici, non solo per cogliere, ma anche per trasferire il temperamento spirituale e le colorazioni di quel temperamento di cui il testo poetico è l’espressione; per questo motivo una buona traduzione poetica è la cosa più rara del mondo.
L’obiettivo della traduzione poetica non è di riprodurre la parola esatta ma l’esatta immagine, l’associazione e la bellezza poetica e il sapore dell’originale
L’esametro inglese, per quanto abilmente realizzato, non possiede lo stesso valore dell’esametro omerico, né l’alessandrino inglese è in grado di rendere quello francese; il ritmo della terza rima anglosassone suona in modo totalmente differente rispetto al nobile movimento della Divina Commedia; il verso libero tedesco di Goethe e di Schiller non possiedono l’aurea armonia di Shakespeare. È perciò evidente che trasporre il medesimo metro da una lingua all’altra rappresenti un falso metodo.
Per contro, se il traduttore riesce a individuare il metro appropriato, avrà ogni possibilità — purché sia poeticamente dotato — di creare una traduzione che non solo possa essere considerata classica, ma che risulti essere LA traduzione.»

SRI AUROBINDO