«Lascio ai paludati accademici ‘la critica letteraria’ che ha prodotto sommi disastri… Ho dalla mia parte poeti veggenti quali Rimbaud che irrideva la tronfia cultura dominante e lo stesso Iorco che opera fuori da ogni tipo di moda o mercato.
Per non citare poeti quali Emily Dickinson, Walt Whitman… Wallace Stevens…
Seguirò quindi le emozioni-sensazioni che i versi di Iorco mi suscitano.

L’occhio di chi guarda e legge si identifica con l’autore, ne diviene complice: durante questo processo, in un certo qual modo, ri-crea dentro di sé la poesia. Il vero, assoluto significato dei versi, rimanda per contro all’autore stesso.
Posso, quindi, al massimo cogliere i bagliori che il testo suggerisce…

D’acchito, quando si penetra nell’essenza della silloge di Tommaso Iorco, si ha la sensazione di essere di fronte a una sinfonia in crescendo, a un ritmo antico che sposa il moderno, di percussioni e mitiche foreste.
In aerei mattoni, posti in forma del tutto originale, l’uno dentro l’altro (metri sapienti che si inseguono), assistiamo al di-svelarsi di una cattedrale galattica che svetta dipinta di fulgido arancio, con fondamenta scrutanti il buio abisso del subconscio.
Umano tra gli umani, Iorco appassiona per la sua ritmata e progressiva trasformazione-scalata verso una sorta di alieno tra gli umani, pur nell’ora e qui di un destino comune. La ricerca lo porta a mirare ciò che si nasconde dentro la materia bruta, dentro l’orrore che tutti noi viviamo, incapaci spesso di fare uno sforzo, un piccolo salto evolutivo.

Dietro i suoi versi percepisco il ritmo della tabla e della lingua sanscrita, il movimento ascendente e discendente, spesso ondulatorio dell’esistenza che trova difficoltà… proprio nel veritiero esistere…

Iorco parte da una invocazione-aspirazione:

“O penna, fammi degno del tuo nome,
innalzami al di sopra del tuo nido
nella nuda chiarezza inaccessibile;
lasciami penetrare nella gola
di Colei la cui voce crea i mondi […]

per accompagnarci poi nelle sottili spirali del suo cammino.
(Particolarmente suggestivo e originale quel verso:
“lasciami penetrare nella gola”).

Procedendo nella lettura scopro che l’endecasillabo ben visualizza il suo e il nostro misero stato:

[…] Quaggiù tutto è rovina, nudo strazio
d’una fronte che vagola tra ombre,
d’un cinabro che chiama nel deserto,
d’un atollo perduto e solitario. […]”.

O ancora:

“Lasciatemi giacere tra relitti
sprofondati di navi alla deriva,
ove non giungano i vostri tragitti
di miseri vascelli la cui stiva
ammassa un inutile squallore […]”.

“Lenta è l’ascesa, penoso il cammino;
impietosa è la legge della via:
perduto nell’abisso vespertino
ogni lume si spegne in aporia,
ogni conquista culmina in sconfitta,
mentre il falcone d’oro vola via […]”.

(Cito interi brani poetici perché in realtà parlano da soli, si proiettano fuori dalla pagina e non avrebbero certo bisogno di essere supportati da interpretazioni. Più che altro, l’interagire in codesta Silloge è un regalo che elargisco a me stessa e a tutti i lettori che vorranno imitarmi… compulsandola e facendola ‘propria’).

Avverto qui un poetare leggero e nel contempo colto, frutto di una lunga, accanita limatura, che proietta immagini dentro e fuori per farci partecipi di un soffocamento, di un desiderio insopprimibile d’altro. “Altro” che non ci è dato conoscere se non per esperienza diretta. La somma veggenza di un poeta consiste proprio nel non fornire risposte, non emettere dogmi… ma in tutta libertà incitare il lettore alla ‘domanda’… alle “domande”… Se hai la risposta… sei finito. La Verità si dice sia una; al nostro miope livello di umanoidi-zombie ancora informi, non è, però, dato per il momento conoscerla. Possiamo semmai aspirare a una mutazione o divenire poeti noi stessi… per scorgere, a tratti, che cosa si nasconde dietro la nebbia illusoria delle nostre piccole menti…

Tommaso Iorco ha il merito di accompagnarci nei segreti più intimi della sua anima — attraverso la sapienza di una precisa e varia scelta metrica e di sperimentazioni mai disgiunte dai contenuti — stemperando quella nebbia che avvolge tutta la nostra esistenza e incitando a un cambiamento di rotta…

[…] Un bisogno di immergersi alla fonte
leggere l’alfabeto alla rovescia,
estorcere il segreto di Caronte, […]”.

Traversata, il suo mirabile sonetto, induce a entrare nel fulcro di una ‘perigliosa navigazione’:

“È notte fonda ancora, e la mia barca,
tra due abissi di tenebra, avanza;
condotta dal nocchiero insonne, varca
Eracle e il Capo di Buona Speranza”

e prosegue:

[…] Ma non finisce lo stato di erranza […]
[…] Passato l’orizzonte dei mortali […]

per giungere:

“Intercetta il primo bianco raggio
e penetra le aurore beneamate
infin che il sole spalanca i portali.”

Leggo e rileggo: CineseriaGremboAcque, RisveglioRukhNirvanaLe due tenebre, L’universo nell’anima e in ogni verso di queste poesie scopro assonanze, desiderio interiore di andare sempre oltre dentro una malia di un’avventura terrestre senza fine che un giorno sarà capace di unire cielo e terra, materia e spirito, umano e sovra-umano.

Iorco urla il suo tormento ‘senza urlare’; il mistero che vuole conquistare giace sul nostro pianeta e lui ce lo mostra da tutti i lati e dentro ogni prospettiva…

[…] Il grido della terra è nel mio petto […]
[…] Dentro me un’Atlantide radiosa
emerge liberata,
Eldorado di fuoco e di splendore
e campi di visione risvegliata,
una vetta gloriosa
e mari immensi d’inesausto ardore […]

Come non identificarsi nei versi di Apo-kalipsis? :

“QUELLO che tutti temono io attendo
come il dono più grande della vita.

Se perfino i poeti sono sordi
chi capirà la parola del Vate?[…]

Le mie parole sono carne e sangue.
Che venga il grande fuoco distruttore!”.

 

L’immersione in vaste terre sconosciute diviene — se possibile — ancora più intensa e i versi della poesia Dashavatàra, che descrivono la lenta evoluzione dell’uomo mi appaiono stupendi poiché illuminano con visioni di eterna chiarezza il nostro angusto peregrinare, irto di insidie, di falsità, di ipocrita ‘bontà’ e di totale oscurità.
Quel verso:

[…] del Dio nella forma di Nano
su due gambe eretto malcerto […]

rappresenta la condizione umana.
Ma la tragedia, la commedia o l’eterno gioco nei quali noi bipedi siamo intrappolati non si esauriscono qui:

[…] Ma non è tutto.
Infatti eccolo,
il decimo Dio della Gnosi
che ci porta quaggiù l’Oltreuomo […]”.

La rivolta di Iorco prosegue in Palinodia in forma di confessione:

“Ebbene sì, sono stato un eretico
impenitente, bollato sacrilego
privo di remissione dei peccati, […]

e si accentua in L’Opera al Rosso…che appartiene alla seconda parte della Silloge. Una poesia che sento oltremodo vicina e che vorrei… avere scritto…
Avverto quello stato di ‘lucida follia creativa’ che ci rende diversi e liberi nonostante le separazioni mentali che ancora costruiamo, … la foga del bardo che chiede un nettare alieno, una Matrix ravvicinata che ci permetteranno di respirare finalmente.

E il respiro si allarga in AmithabaMysterium Vitae, Atlantide, per sfociare nelle perfette Avatàr e La saga divina

L’ultima delle quarantanove poesie contenute in L’opera della Fenice sulle quali potrei ritornare e ritornare senza stancarmi mai di scorgere innovativi significati terreni e sovra-terreni… offre una grande speranza di effettivo progresso e di radicale mutamento verso… il mistero e l’Inconoscibile.
Si tratta di Solvitur ambulando:

“La tavola ove il calamo supremo
incide i destini della terra
non ha segnata l’ultima parola
— soltanto qualche lettera è tracciata,
in un qualche linguaggio di mistero”.

Eretico e visionario, terragno e ascetico fuori dall’ascetismo e da tutti i poteri orrendi delle varie chiese e religioni (basta pensare a Pasquinata) Tommaso Iorco pone la sua nave creativa su acque parallele, talvolta calme, talvolta sconvolte da venti monsonici per farla poi approdare nell’arroventato movimento di chi non si accontenta mai del mondo così come lo vediamo e della vita che ci sembra di vivere… Esiste sempre un’altra tappa da conquistare, un altro modo di interpretare e superare le strette e asfissianti vie del quotidiano ordinario. La sua ribellione colpisce abitudini, preconcetti e le piccole storie delle nostre non veritiere biografie.

Occorrerebbe scrivere altre pagine per dare spicco a poesie di grande impatto che non ho citato ma per ora mi fermo augurandomi che gli amanti della poesia veggente si tuffino nei versi di Iorco e riescano a godere del suo originalissimo stile e del suo scrigno davvero dorato».

Marilde Longeri
luglio 2004