Milizie cristiane in Irlanda?

a cura di Simonetta Invernizzi

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Nei giorni immediatamente successivi l’uscita del dramma lirico DANA (maggio 2009), è avvenuto un interessante scambio fra la nostra Gaia Ambrosini e uno studioso di tradizioni europee (celtiche e germaniche in modo particolare).
La natura del colloquio epistolare intercorso chiarisce alcuni punti che riteniamo utile rendere noti a tutti i nostri lettori, per evitare eventuali fraintendimenti e chiarire meglio alcuni dettagli non trascurabili.

Come molti di voi sapranno abbiamo, anzitutto, diffuso una mail informativa a proposito di DANA in cui si diceva, tra l’altro, che la tradizione celtica irlandese è rimasta pressoché inalterata fino all’arrivo delle “milizie cristiane”.
Ed è proprio su questa affermazione che lo studioso (di cui si preferisce mantenere l’anonimato) è intervenuto —

«“Milizie cristiane” in Irlanda?
Volete dire che San Patrizio è sbarcato in Irlanda alla testa di un esercito?
Questa me la sono persa!
A volte la storia ha le sue eccezioni, e la conversione dell’Irlanda è una di queste. Il paese non fu mai invaso, nemmeno dai Romani. I Celti si convertirono spontaneamente al Cristianesimo in seguito alla pacifica predicazione di Patrizio, nel V secolo, e col fiorire delle lettere gaeliche diedero inizio alla più antica letteratura d’Europa dopo la greca e la latina. Se conosciamo tanto bene le tradizioni celto-irlandesi, rispetto ad altri paganesimi europei, lo dobbiamo proprio a quei monaci, che erano succeduti ai druidi come custodi dell’antica cultura gaelica.
Le prime milizie a invadere l’Irlanda furono quelle scandinave, nel X-XI secolo, ed erano pagane, e vennero sconfitte.
In seguito, ahimé, arrivarono gli Anglo-Normanni, ma questa è un’altra storia.»

Gaia ha risposto prontamente, per meglio chiarire la nostra posizione —

«In virtù di quell’evento eccezionale cui lei fa giustamente riferimento, la cristianizzazione dell’Irlanda è stata complessivamente pacifica e San Patrizio, ovviamente, non fu alla testa di un esercito.
Ci sono tuttavia un paio di precisazioni da fare.
In primo luogo, credo di potermi permettere di dire che lei sia stato messo fuori pista dalla nostra espressione “milizie cristiane”, perciò intendo ricordarle che esiste anche un senso figurato di questo termine, ampiamente riconosciuto e presente in tutti i dizionari italiani. Leggo per esempio sul Garzanti alla voce “milizia” dove, fra gli altri significati, si trova il seguente: “la disciplina cui si assoggetta chi si dedichi alla realizzazione di un ideale”. Sotto questa accezione, chiunque cerchi di convertire qualcun altro alla propria fede (quale che sia, ovviamente) è in qualche misura un militante (pacifico o violento, a seconda dei casi). Peraltro, la stessa teologia cristiana fa riferimento alla “milizia celeste”, per identificare talvolta le schiere degli angeli e dei beati, talaltra addirittura l’insieme dei credenti — e nessuno resta basito di fronte a questa accezione, nessuno ne fraintende il senso, immaginando di trovarsi di fronte a un qualche esercito militare in assetto di guerra.
In secondo luogo, gli storici più recenti ci insegnano a non generalizzare mai, a non dare alcun dato storico per assoluto e a cercare di andare al di là dei luoghi comuni e delle affermazioni sbrigative. Questo atteggiamento, che possiamo definire moderno, ha prodotto un grande progresso nello studio della storia, permettendo di sfatare antiche leggende e colmare alcune falle. Il proselitismo di San Patrizio in Irlanda, similmente a quello di San Francesco Xavier in India, è oggetto di continuo approfondimento e di nuove considerazioni. Si è scoperto per esempio che i due “santi” non furono così pacifici nel portare a compimento il loro proposito. Distruggendo i templi definiti ‘pagani’ e le statue di questi popoli detti ‘idolatri’, ci si sta chiedendo infatti come ciò sia stato possibile senza qualcuno che difendesse le azioni dei sopraddetti “santi” da quanti cercavano di impedire tali azioni, che dovettero apparire senza alcun dubbio sacrileghe agli abitanti del luogo. È come se un musulmano pacifico oggi venisse in Italia e distruggesse le statue della Madonna e dei santi predicando un monoteismo più intransigente — lei pensa che i cristiani glielo permetterebbero senza colpo ferire? È perciò più plausibile avanzare l’ipotesi — suffragata da prove, nel caso dei due missionari in questione — che qualcuno li proteggesse e li sostenesse anche con le armi.
Ecco. Non mi dilungo oltre perché sono certa che lei sarà in grado di trarre le dovute conclusioni come e meglio di quanto potrei fare io stessa.»

A questo punto lo studioso, a distanza di pochissime ore, si è sentito subito in dovere di rettificarsi —

«Devo scusarmi con lei, e la sua lettera ha in effetti preceduto quella che avevo intenzione di scriverle. Intanto ho dato un’occhiata al sito di aria nuova e mi sono fatto un’idea del vostro lavoro e di quello del signor Iorco.
Ho spesso avuto a che fare con conventicole convintissime di poter interpretare il pensiero religioso e spirituale di Celti e Germani, il più delle volte a dispetto delle scarse informazioni che possediamo su questi popoli. Tra l’altro, mi sono a volte trovato a confrontarmi contro il luogo comune secondo il quale i cristiani sarebbero i diretti responsabili della distruzione della cultura pagana.
Intendiamoci. Questo è accaduto molte volte nella storia, e spesso con la forza di “milizie” non certamente spirituali. Non sarò certo io a negarlo. Pensi alla cristianizzazione forzata dei Sassoni da parte di Carlo Magno, o del Baltico da parte dei Cavalieri Teutonici. Altre volte, furono gli stessi popoli convertiti a lasciarsi alle spalle la cultura pagana, quasi vergognandosene, com’è il caso, forse, dei Germani dell’Europa centrale, o dei Celti continentali.
Ma non è il caso dell’Irlanda, ecco.
In Irlanda, il rapporto tra l’antica religione e il cristianesimo importato da Palladio e Patrizio, è forse un caso più unico che raro nella storia europea. Certamente, come dice lei, il trapasso non fu sempre pacifico (l’agiografia di San Patrizio riporta alcuni confronti/scontri tra i collegi druidici e i seguaci di Patrizio, e sicuramente le due religioni convissero a lungo tempo l’una accanto all’altra, con presumibili attriti), ma detto questo, rimane il fatto mirabile che l’Irlanda sia pressoché l’unico paese europeo — a parte il mondo classico — ad aver tramandato una quantità enorme della propria conoscenza tradizionale (leggende, genealogie, liriche, agiografie, opere storiografiche), proprio grazie agli scriptoria monastici. Certamente gli antichi miti furono riscritti alla luce del sistema universale classico-cristiano, ma furono tramandati e non cancellati in toto. Inoltre, come lei sa, il cristianesimo irlandese conservò molte caratteristiche della precedente spiritualità celtica.
Ma sto divagando, e sicuramente la sto annoiando. Le chiedo ancora scusa, non volevo fare un futile esercizio di erudizione. Quando si ama tanto un mondo, è difficile non lasciarsi prendere la mano...
Ma quando ho sentito parlare di “milizie” in Irlanda, la mia reazione è stata: “Oh, no! Non un’altra volta!”
Perdoni dunque il mio sarcasmo, davvero fuori luogo.
Ho dato un’occhiata alla presentazione del libro di Iorco. Mi è sembrato un libro documentato, intelligente e sicuramente affascinante. Rivolgo al signor Iorco i miei complimenti, ed a lei, ancora una volta, le mie scuse.
Farò pubblicità al libro di Iorco attraverso i miei canali.
Di nuovo, buon lavoro.»

Riportiamo ora, per concludere, l’ultimo scambio intercorso con questo gentile studioso.
Partendo, ovviamente, dalla risposta di Gaia —

«Ricevo con grande piacere questa sua risposta felicemente risolutiva.
In effetti, come lei ben chiarisce, esiste un discutibilissimo atteggiamento (etichettato come ‘neo-paganesimo’, o ‘neodruidismo’, o chessò io) che pretende riprendere alcuni elementi (dopo averli opportunamente deformati — o più semplicemente fraintesi) di quel poco che sappiamo della civiltà celtica e che crea grotteschi movimenti new-age (le “conventicole” a cui lei fa argutamente riferimento e con le quali ha avuto la sventura di doversi confrontare).
Tommaso Iorco, tuttavia, quando si è sentito spinto (o ispirato) a scrivere un testo drammaturgico ambientato in epoca celtica, non ha avuto esitazioni di sorta e ha messo in previsione l’eventualità di doversi sobbarcare irragionevoli critiche da parte di quanti non avrebbero letto il suo testo poetico, etichettandolo a priori fra le assurdità neo-celtiche.
D’altro canto, come ben sappiamo, Erodoto e Plutarco scrivono la storia, Omero e Shakespeare creano la leggenda: un poeta non è uno storico e la ricostruzione filologica non è certo il suo obiettivo. A un vero poeta importa unicamente la genuinità della propria ispirazione, curandosi parallelamente di nutrire un atteggiamento di rispettosa serietà (o, meglio ancora, di piena empatia) nell’approcciare antiche civiltà.
Noto inoltre con piacere che lei affronta luminosamente un dettaglio che nella mia precedente ho preferito trascurare, riguardante la non assoluta fedeltà delle trascrizioni degli antichi ‘miti’ celtici da parte degli scoliasti cristiani, i quali hanno molti indiscutibili meriti, ma anche enormi difetti derivanti da quel morbo proselitistico che, ovunque si annidi, genera sempre distorsioni (quando non — ahimè — perversioni!).»

Concludiamo quindi con la replica finale dello studioso —

«Tutto a posto, perfetto!
Sono d’accordo sul fatto che qualsiasi scelta abbia fatto il signor Iorco nel suo libro, è giustificata dal suo intento, che è soprattutto creativo. A volte, in effetti, serve un autentico poeta per dipanare i più misteriosi fili delle tradizioni perdute. Ne vengono fuori suggestioni assai diverse dalle analisi dei filologi, ma non per questo meno interessanti e illuminanti.
In quanto agli scoliasti irlandesi, se non altro hanno avuto il grandissimo merito di tramandare invece che di distruggere, e gli strumenti della critica moderna ci permettono di osservare in controluce le antiche tradizioni celtiche attraverso il filtro cristiano che vi hanno sovrapposto.»

Perciò, a scanso di equivoci e per immergersi direttamente nell’estasi poetica e nel flusso ispirato di questa affascinante ricostruzione poetica, auguro a tutti una buona lettura di DANA!
Non mancano, nel testo poetico, accenni all’attuale transizione e suggestioni che travalicano il contesto storico di riferimento, come sempre accade nella grande poesia.

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P.S.: qualche giorno dopo la pubblicazione del presente scambio, una lettrice che non conosciamo personalmente (ma che è stata una delle prima a ordinare DANA!) ci ha inviato le seguenti parole, benvenuta testimonianza di comprensione e di felicissima arguzia:

«Brava Gaia per la fulminante risposta al grande studioso di cultura celtica. Gettando magnanimamente uno sguardo a valle dalla sua turris eburnea, non ha nemmeno capito quello che stava leggendo, sicuro di saperne sempre e comunque una pagina più del libro.»