Monologo dedicato ai cacciatori


Nei meriggi di fine estate
le ore ancor alte del sole
preparano un raccolto d’uva matura.
Ormai nessun canto risuona nel bosco,
solo schiamazzi di ghiandaie
e talvolta un richiamo
di giovani falchi affamati.

Intanto, milioni di uccelli
tornano verso le terre
d’Africa e d’Oriente,
vedendo come noi mai vedremo
l’irregolare scacchiera
dei campi di grano falciato,
il verde esangue dei prati,
le venature dei fiumi,
le barriere dei monti,
i margini di cemento delle città.

Innumerevoli avventure
di vita e di morte mai raccontate
attendono il cuore pulsante
degli uccelli migratori.
Ci sono quelli che già più volte
hanno vissuto l’immane avventura,
ed altri appena involati sotto i balconi
delle città rumorose
o ai margini della tundra solitaria.
E tutti volando nei giorni e nelle notti,
rinnovano il rito terribile e glorioso
di una Vita che ha regole e direzioni
scritte nei pollini e nel vento,
nei silenzi e nelle grida,
in cieli stellati e paludi perdute.

Invece noi restiamo
in questa terra,
che quando il sole d’ottobre
scivolando sulla ruggine dei boschi
sarà fuggito anzitempo dietro ai monti,
sarà più oscura e lenta.

Noi che non sappiamo dirigerci
con la stessa misteriosa certezza
del popolo alato,
sappiamo solo sparargli addosso?
Forse ci vanteremo
per qualche povero corpo impallinato
di una candida Pernice
rimasta a sfidare il freddo
lungo le mute pareti dei monti,
o per qualche Beccaccia che frugava
fra le foglie rosseggianti
dei vitigni e delle siepi.

Sarai così contento, cacciatore,
per qualche cadavere
portato sulla tua tavola,
per una Starna o una Lepre
ammazzate lungo una ferrovia,
per un Camoscio spaventato
in fondo ad un canalone?

Forse ti rallegrerai
per questi corpi di animali
che in qualche fredda alba d’inverno
avrai tolto ad una Vita più grande,
senza chiederti dove mai
se ne è fuggita la loro Anima
al fragore dei tuoi spari.

Lomapada (Sandro Armand Hugon)