Note biografiche su

SATPREM

(a cura di Tommaso Iorco)


 Satprem


Satprem nasce a Parigi, il 30 ottobre 1923, con il nome di Bernard Enginger, secondo di ben otto figli della bretone Marie-Louise e dell’alsaziano Maurice.

Vivace e gioioso, il bambino Satprem deve presto misurarsi con il mondo circostante: quando raggiunge l’età di otto anni, suo padre decide di metterlo in un collegio parigino, per tentare di disciplinare il suo carattere esuberante e ribelle.

Ma, a mano a mano che cresce, Satprem sente dentro di sé un sempre più insopprimibile bisogno di libertà, di spazio, di avventura.
Ogni estate la famiglia si trasferisce in Bretagna, a Saint-Pierre, sul mare. Con un piccolo veliero (“Bagheera”), Satprem si immerge nella vastità dell’oceano, spingendosi il più lontano possibile. In quella immensità azzurra, tutto è perfetto, la piccola persona sparisce, si sente «meravigliosamente felice»; ma quando torna nel mondo degli uomini, tutto stride (la scuola, la famiglia, la religione…), tutto si fa grigio, triste, rinchiuso nella gabbia di un piccolo ‘io’ soffocante. Tutto tranne Beethoven.

E qualche libro, talvolta. Come nel caso di Nourritures terrestres di André Gide, che lo entusiasma fin dalla prima lettura, avvenuta verso i diciassette anni: un invito a contattare l’essenza della vita, a mettersi continuamente in discussione, con una sincerità assoluta, ad affrontare esperienze sempre nuove, senza compromessi, a non attardarsi mai in nessun compimento, per quanto grande possa apparire. E, soprattutto, a guardare Madre Terra come un luogo di realizzazione e di conquista.

Nel 1939 si presenta all’esame di ammissione della Scuola coloniale. Sente che, se mai una avventura poteva esistere nel vecchio panorama di inizio Novecento, doveva essere nelle colonie, “ai confini del mondo”. Decisamente, l’Europa era troppo vecchia e conformista per la sua sete d’avventura.

Ma Hitler fa sentire sempre più il suo peso opprimente sul mondo. Così, il giovane Satprem non ha esitazioni: nel 1940 entra nella Resistenza, per combattere contro la terribile minaccia nazista. Fino a quel 15 novembre 1943 (quindici giorni dopo il suo ventesimo compleanno!) in cui viene arrestato dalla Kriminal Polizei. La Gestapo tenta invano di farlo parlare, di strappargli dalle labbra i nomi dei suoi compagni di lotta, poi lo interna nei campi di concentramento: prima a Buchenwald, quindi a Mauthausen. L’Orrore. Un anno e mezzo immerso nell’orrore umano.

«Che cosa resta in un uomo quando non resta più niente?». Questa la domanda che sorge in lui, viva e vibrante, nei lager. Che cosa resta per davvero in un uomo, quando crollano i buoni sentimenti, l’educazione, l’atavismo, la cultura, la filosofia, la religione…? CHE COSA RESTA?

Nel mese di aprile del 1945 gli Alleati entrano a Mauthausen per liberare il campo di sterminio. E si trovano inorriditi davanti a quella visione di indicibile brutalità, fra cadaveri ammassati e scheletri viventi. Satprem è uno dei sopravvissuti: ne uscirà il 5 maggio. Con appena 25 chili di carne e ossa attorno ai suoi grandi occhi azzurri.

Quando si esce da un lager, non si può certo riprendere la vita di prima, come se nulla fosse accaduto. Anzitutto, occorre lottare contro la morte (e contro l’idea del suicidio!): Satprem aveva preso il tifo e continuava a dimagrire. Ma ha voluto resistere, nonostante tutto; in ospedale lo chiamavano “il miracolato”. Una volta dimesso, ancora molto debole, va a cercare l’amato mare della Bretagna per tentare di ristabilirsi fisicamente. Il suo cuore — un buco nero, devastato, oltraggiato — era definitivamente alla ricerca di un senso vero.

Ed ecco che, pochi mesi dopo, quello che gli uomini chiamano ‘il caso’ bussa alla porta di Satprem: suo cugino, François Baron, è appena stato nominato governatore delle Indie francesi e gli propone un posto come suo segretario particolare. Accetta immediatamente. Perciò, appena sette mesi dall’uscita dai campi di sterminio, s’imbarca per l’India, su un vecchio aereo militare. Facendo uno scalo di un mese e mezzo in Egitto. Satprem, che fino a quel momento aveva conosciuto soltanto i cieli ristretti dell’Europa, si trova ora catapultato in uno spazio assai più vasto: Giza, Abydos, Tebe, Luxor, la Valle dei Re, Nag Hamadi. Tutto immerso in un silenzio massiccio e popolato di un qualcosa di indefinibile, eppure meravigliosamente presente. Non si erano ancora riversate sul mondo tutte quelle chiassose orde di turisti, con i loro cellulari, le loro radioline, i loro villaggi-vacanze, la loro insensatezza. Satprem vive, per un mese e mezzo, «in uno stato di emozione incomprensibile».

D’un tratto, l’Occidente gli appare come un enorme artificio, «un guscio vuoto e ben decorato».

Quindi, alla fine di febbraio del 1946, Satprem riprende la sua rotta per l’India. Al suo arrivo a Pondicherry (sonnolenta capitale delle Indie francesi), François Baron gli parla di Sri Aurobindo, di Mère. Satprem non sa nulla della ‘saggezza dell’Asia’, ma viene subito colpito da questo singolare rivoluzionario ritiratosi proprio a Pondicherry per sfuggire agli inglesi e che, pare, era diventato “un saggio”. Perciò, si getta a capofitto nei suoi libri e vi trova subito un qualcosa di nuovo rispetto a quanto aveva letto fino a quel momento. Una frase, in particolare, lo aveva colpito:
«L’uomo è un essere di transizione».
Verso che cosa? C’era dunque una strada da percorrere, un qualcosa da raggiungere! «Quel Qualcosa che l’uomo è davvero, ma che non è ancora», per usare nuovamente le parole di Sri Aurobindo. DIVENTARE, ma certo! Non si tratta di una religione (nuova o vecchia) in cui credere, né di una filosofia in più da ficcarsi in testa: un vero cammino si spalanca dinanzi a ogni essere umano! …A chi, per lo meno, ha intenzione di percorrerlo.

Poi, il 24 aprile 1946, Satprem incontra il Rivoluzionario in un “darshan”: Sri Aurobindo era là, al fondo di un corridoio, seduto accanto a Mère su un divano, mentre le persone che volevano vederlo (o, meglio, che volevano essere ‘guardate’ da Lui) gli sfilavano davanti silenziosamente. Satprem rimane totalmente spiazzato: «Mi ha guardato… Era talmente vasto, oh! Più vasto di tutte le sabbie dell’Egitto, più dolce di tutti i mari. E tutto si è catapultato verso… non so che cosa». Un Essere unico. Mai sulla terra aveva incontrato un Essere simile. «Poi Mère, seduta alla sua destra, che mi ha rivolto un così grande sorriso, girando un poco il mento e il collo verso di me, come per dire: “aah!”. Ero assolutamente sbalordito».

Ma Satprem ha tutto un tragitto da compiere, prima di comprendere la vera Rivoluzione in atto. È ancora interessato alle avventure esteriori, all’oppio che pone un velo di oblio sopra il ricordo devastante dei campi di concentramento. Perciò, nel 1949, quando ancora in Europa si respirava l’atmosfera della seconda guerra mondiale, si rimette in viaggio: India, Nepal, Afghanistan, Francia, Guyana, Brasile, Africa. In Sudamerica, in particolare, diventa cercatore d’oro e si immerge per un intero anno in piena foresta vergine, come sulle tracce di un passato pre-umano.

E, al termine di interi anni di vagabondaggio, nel 1954 Satprem decide di tornare da Mère, per affrontare la foresta vergine di un avvenire post-umano. Sri Aurobindo, nel frattempo, ha lasciato il corpo (il 5 dicembre 1950, per l’esattezza). Ormai, l’epoca delle colonie volge al termine. A questo punto, Satprem si trova proiettato in una avventura ben più grande e radicale di tutte le sue avventure in giro per il mondo.

Lui, il ribelle, nei primi anni fatica non poco a adattarsi all’idea di vivere all’interno di un ‘Ashram’, seppure di un ashram molto particolare. Ma Mère, l’avventuriera per antonomasia, passo dopo passo lo invita alla grande Avventura: trovare e manifestare quel qualcosa che l’uomo è già nel profondo, ma che al momento la sua vita limitata e mortale pare contraddire apertamente. Il passaggio verso il prossimo stato evolutivo. Il ‘dopo-uomo’, o l’oltreuomo. Le etichette poco importano — ciò che conta è il bisogno di costruire quel Ponte. Di percorrerlo.

In breve, fra mille peripezie (geografiche e tantriche!), Satprem diventa il confidente di Mère, il testimone delle sue esplorazioni nella coscienza del corpo, alla ricerca del Grande Passaggio. Insieme a Sujata Nahar, che diventerà la sua inseparabile compagna, Satprem segue giorno dopo giorno, per quasi vent’anni, il pericoloso “cammino senza cammino” di Mère nell’ignoto di domani. È la stessa Mère a dargli presto questo nome: Sat-prem, “vero amore”.

Sempre più, nei primi anni Settanta, Mère si trova circondata da un muro di incomprensione e di resistenza. L’Ashram è, secondo le parole stesse di Mère, «un campionario delle resistenze della terra alla propria trasformazione». E lei si batte là dentro come una leonessa, per trarre un grammo di sincerità da quel materiale umano. Finché, un giorno di maggio del 1973 (il fatidico 19) la porta di Mère si chiude improvvisamente e Lei resta sola di fronte al Mistero. Satprem e Sujata attendono fiduciosi che Mère si liberi dell’ultima schiavitù fisiologica: quella del cibo. Ma la muta che le si era scatenata contro pensava altrimenti. E voleva liberarsi al più presto di quel Raggio che metteva a nudo tutte le loro menzogne di ridicoli homo sapiens ammantati di santità.

Il 17 novembre 1973 il cuore di Mère cessa di battere. E mentre ci si affretta a seppellire quel corpo impregnato di coscienza, Satprem e Sujata guardano tutta la disgustosa mascherata con una sorta di orrore. Davvero da non credere. Solo Champaklal, il devoto servitore di Sri Aurobindo per trent’anni, ha il coraggio di andarsene dall’Ashram e di ritirarsi per un certo periodo sullo Himalaya in segno di protesta.

Ma il vero incredibile deve ancora venire. Satprem, ripresosi dal trauma, intende ora pubblicare tutte le conversazioni in cui Mère gli ha confidato, per anni, il suo procedere a tastoni nella foresta vergine dell’avvenire. È l’Agenda di Mère. Ma la muta gli si scatena contro con tutta la ferocia possibile. Sì, perché quei documenti sono considerati pericolosi, possono minare l’aureola di rispettabilità che l’amministrazione dell’Ashram intende costruire accuratamente intorno a sé per ritagliarsi la propria fetta di potere e realizzare un disgustoso business spirituale (all’insaputa della maggior parte degli stessi ashramiti e, soprattutto, contrariamente alle indicazioni di Mère e dello stesso Sri Aurobindo, il quale dichiarò espressamente che l’Ashram, qualora loro due se ne fossero andati, non avrebbe più avuto alcuna ragione d’esistere).

A Satprem cercano pertanto di impedire in tutti i modi la pubblicazione dell’Agenda. Lo spiano, cercano di sottrargli i documenti, gli fanno consegnare (per mano della polizia corrotta) un ordine di espulsione dalla casa che Mère aveva assegnato a lui e a Sujata, lo pedinano, cercano di farlo espellere dall’India e di intentargli un processo per sottrazione e falso, più di una volta tentano perfino di ucciderlo! Satprem si batte senza risparmiarsi, al solo scopo di mettere in salvo quel Tesoro. I ‘Trustees’ dell’Ashram faranno stampare perfino una falsa Agenda allo scopo di vanificare in anticipo i tentativi di pubblicazione dell’Agenda autentica. Dopo avere girato l’India in lungo e in largo, nel 1978, insieme a Sujata, Satprem trova un riparo sui Nilgiris, le Montagne Azzurre, nel sud dell’India, dove si immerge — fino al 12 luglio 1981 — nella trascrizione dei tredici volumi dell’Agenda. Nonostante la sua viscerale avversità nei confronti di tutte le istituzioni, fonda perfino un ‘Istituto di Ricerche Evolutive’ (IRE) allo scopo di pubblicare l’Agenda de Mère nella sua integralità (cosa che avviene tra il 1978 e il 1982, seguita poi da edizioni nelle varie lingue — italiano compreso).

In questo stesso periodo, fra le altre cose, Satprem combatte contro il gruppo manageriale dell’Ashram che tenterà, Dieu merci senza successo, di esercitare pressioni presso la Corte suprema dell’India per far riconoscere l’Ashram come una istituzione religiosa (al fine di ricevere sovvenzioni pubbliche e creare così una nuova Chiesa — aberrante, dogmatica, spietata e arrogante come tutte quelle che l’hanno preceduta nel corso della storia)! Nonostante tutto quello che Sri Aurobindo e Mère hanno sempre detto a proposito delle religioni e del loro inevitabile fallimento!!!

Ma la vera Battaglia doveva ancora incominciare: «incarnare, mettere nel mio stesso corpo quello che loro le hanno impedito di fare da viva. […] infondere nella coscienza terrestre quel passo a passo nell’ignoto della terra attraverso un corpo semplicemente umano che si dava anima e corpo a un Avvenire misterioso e a una specie in divenire». Satprem si mette dunque all’opera nel proprio corpo.

Carnets d’une Apocalypse, in corso di pubblicazione, riferiscono questa Battaglia, documentata dallo stesso Satprem.

Purtroppo, il germe del dogmatismo e della sete di potere spunta dovunque. Satprem si trova spesso a dover estirpare il bigottismo e l’ambizione perfino dall’Istituto di Ricerche Evolutive da lui stesso creato. Prima o poi, inevitabilmente, le istituzioni si arrogano il diritto di rappresentare la verità di cui ci si vuole appropriare, nell’illusione di renderla di propria esclusiva proprietà e, così facendo, trasformandola in una colossale menzogna. In Francia, in America, in India, in Italia, i rappresentanti delle varie sedi dell’IRE manifestano — sul finire del vecchio millennio — i loro assurdi tentativi di presa di potere. Satprem interviene e, in un modo o nell’altro, tutti questi aspiranti ‘Papi’ (o chierichetti, a seconda dei casi!) si trovano costretti ad allontanarsi. Tanto per non fare nomi, Luc Venet, Michel Danino e Nicole Elfi, Boni Menato e Davide Montemurri sono i tristi rappresentanti di una chiesa estinta ancor prima di nascere...

Finché, un giorno di febbraio del 2007, Satprem confida a Sujata: «IL LAVORO È FATTO». Dunque, la congiunzione fra la cosiddetta “vita” e la cosiddetta “morte” sarebbe finalmente compiuta?

Un paio di mesi dopo, il 9 aprile, Satprem si alza con fatica dal suo letto (aiutato da una assistente). Non è affatto malato; è solo un po’ debilitato — nelle ultime ventiquattr’ore si è alimentato esclusivamente con dei liquidi. Si accomoda sul sofà; poi emette un ultimo, profondo respiro. Un occhio resta ancora aperto, in direzione della foto di Sri Aurobindo di fronte a lui. Qualche giorno dopo, il corpo viene sotterrato nel terreno adiacente la sua abitazione, a “Land’s End”, sui Nilgiris.

Meno di un mese dopo, il 4 maggio, Sujata, la sua dolce metà, lo segue.

Concludiamo questa breve biografia offrendo la traduzione di una poesia scritta da Satprem e ritrovata fra le sue carte.

«Un canto in lontananza, dietro
le pianure dell’India.
Un bambino è là. Sono io
questo bambino. Sono io
questo vecchio. Sono nato
da sempre, forse ieri,
o in questo stesso istante? Sono
così vecchio, ma così vecchio
che queste pianure fremono in me
come la prima risacca
d’un mare antico che lambisce
un continente dimenticato.
Mi ricordo. Io
mi ricordo, era lontanissimo
come questo canto, era
vicino, adesso.
Era sempre. Sono io
questo vecchio? Sono io
questo bambino? — Sono
ciò che ascolta, che ascolta. Sono
ciò che guarda, che guarda,
fino a farmi scoppiare l’anima
— in un sorriso, in una
antica pena, nella
vecchia pelle del mondo, il suo
eterno sorriso. Andrò
a morire? Guarderò
ancora, ascolterò ancora?
Un canto si spegne laggiù,
con il sole sulla pianura. Domani,
domani è tutto uguale
— io sono là in quello
che non si muove. Era ieri,
era domani. Ascolto
un ignoto mai raggiunto
che mi fa nascere ancora e ancora
Sono un bambino che sorride,
un vecchio che sorride.
Sono, io sono. E questo
secondo che passa continua
a vibrare nel mio cuore
come il grido di un
gabbiano mai afferrato — io passo,
passo oltre, resto, sono
sempre; con il sole
che muore, questo canto
che muore e questo sorriso
tenero che rimane, sulle
guance di questo bambino, sulle
labbra di questo vecchio, io
non so».

GRAZIE, fratello — dal profondo del cuore.
Sujata, Satprem, arrivederci.

Aprile 2007 [riveduto ai primi di maggio]

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