Gaia Ambrosini


alcune riflessioni sull’epopea

SAVITRI

di SRI AUROBINDO


Vorrei partire dalle parole che Tommaso Iorco ha scritto nell’introduzione e ha utilizzato per la quarta di copertina dell’edizione pubblicata da aria nuova —

«Savitri è il capolavoro assoluto di Sri Aurobindo, vero e proprio testamento spirituale e, insieme, resoconto minuzioso dell’immenso Lavoro compiuto insieme a Mère, sua compagna inseparabile.
Sri Aurobindo ha percorso per intero il complesso ordine multigradato della realtà, ha perlustrato tutti i domini della coscienza, dai più infimi ai più eccelsi, verificando sperimentalmente le conseguenze che ognuno di essi esercita nel dominio psico-fisico e, quindi, in ciascuno di noi. E, al culmine, ha liberato un canto ebbro di gioia, mai udito prima d’ora sulla terra.
Lì è racchiuso il senso più completo della nostra esistenza, in quella dimensione dell’essere in cui verità e bellezza sono connaturate e spontaneamente possedute da un’anima e un corpo viventi sulla terra, finalmente riconciliati. Sri Aurobindo e Mère rappresentano insomma la più grande riabilitazione della Materia, la quale manifesta in ultimo la sua vera realtà divina.»

Tutti i più grandi estimatori di poesia sono unanimi nell’affermare che verità e bellezza costituiscono, in effetti, i due principali canali espressivi del linguaggio poetico. Ma non necessariamente questi due poteri devono sempre camminare mano nella mano in poesia: la bellezza in primo luogo e innanzi tutto (una verità espressa senza bellezza e senza musicalità, non è poesia — può costituire un brano in prosa magari anche superlativo, ma non è poesia). Quando, però, i due poteri vengono espressi simultaneamente, esattamente come avviene nella loro sfera originale, allora abbiamo la più alta Poesia rivelata, immortale e sublime.
Per approfondire l’argomento, mi è necessario fare ricorso ad altre parole prese a prestito dal volume citato in apertura. In esso, troviamo infatti tre citazioni che vale la pena di riportare qui per completare il quadro della mia breve analisi.
La prima è di Mère (riprodotta nell’originale francese nella suddetta edizione italiana di Savitri, tento qui di tradurla in italiano quanto meglio mi risulta possibile) —

«Ogni verso di Savitri è come un mantra rivelato che supera tutto quello che l’uomo possedeva come conoscenza e le parole sono enunciate e disposte in modo tale che la sonorità del ritmo possa condurre il lettore all’origine del suono, che è OM».

Vi è poi la citazione di una frase estremamente epigrammatica di Satprem (anch’essa citata nel libro nell’originale francese, che provo anche in questo caso a tradurre, purtroppo senza riuscire a mantenere quella estrema concisione così carica di senso) —

«Mai prima d’ora una così grande quantità di verità erano state espresse mediante una tale ingente bellezza».

E troviamo infine la citazione di un autore sanscrito, Bhatta Tauta (vissuto intorno all’anno 1000, fu uno dei maestri di Abhinavagupta, quel grande mistico e letterato che tanto contribuì a fornire profondissime analisi sul reale valore dell’arte, il cui godimento estetico ravvisò come una derivazione della divina gioia o Ananda e, di conseguenza, come una degna porta d’accesso per entrare nei domini della Bellezza soprarazionale e compiersi in una estasi unitiva con l’Assoluto) —

«Si può possedere la Visione ed essere per ciò un veggente (rishi), ma per essere un poeta (kavi) occorre saper offrire quella Visione in un linguaggio di Bellezza».

Ecco dunque illustrata, con stringente chiarezza, la dinamica che permette al Bardo di trasferire in un linguaggio di Bellezza la propria visione dell’esistenza e dell’Esistente. Colui che scorge la Verità una e infinita dell’esistere è a giusto titolo considerato un Veggente, ma non necessariamente un Vate. Occorre infatti essere in grado di dare l’esatta espressione di Bellezza alla Verità vista e sperimentata, riprodurla nel suo originale abbigliamento di Bellezza soprarazionale per essere un Kavi.

Non si può comprendere la Poesia di Sri Aurobindo (e Savitri in particolare) se non si tiene conto che ci si trova di fronte a una vera e propria rivelazione poetica — la più alta in assoluto, mi permetto di aggiungere. Non esiste un solo verso, in Savitri, che non scaturisca dalla Visione e dall’Esperienza del suo Autore. Un’esperienza che gli ha permesso di conciliare il mondo del Divenire con il puro dominio dell’Essere, non attraverso una filosofia concettuale e le mille argomentazioni del pensiero, ma attraverso la percezione diretta di quella coscienza-forza sopramentale nella cui sfera coesistono principi che alla nostra mente razionale appaiono degli inconciliabili opposti. Fino ad arrivare a percepire la Materia come la forma espressiva dello Spirito e la stessa morte come un meccanismo provvisorio e in via di trasformazione. Questo matrimonio fra Materia e Spirito, questa trasformazione del dualismo Vita-Morte in un principio Altro da cui entrambi sono la derivazione deformata, costituisce il filo conduttore di Savitri e, ovviamente, la base operativa del Lavoro che Sri Aurobindo e Mère hanno intrapreso.

Savitri è dunque il resoconto poetico-profetico del Lavoro di Mère e Sri Aurobindo. E, nei suoi versi, possiamo cogliere perfino il modus operandi di tale trasformazione.
Ma per leggere la grande poesia immortale di Savitri occorre lasciarsi illuminare dai suoi versi, permettere alla loro forza di penetrare in noi e di operare nel nostro tessuto psicologico. E bisogna, anzitutto, avere quelle conoscenze di base che permettono di leggere la poesia con la giusta intonazione, il giusto ritmo (grazie in primo luogo alla padronanza della metrica), il giusto rispetto per le pause (quelle che in gergo tecnico sono conosciute come ‘cesura’ e ‘iato’), gli enjambement e tutto il resto. Si tratta di condizioni piuttosto semplici, ma che troppo spesso si trascurano (per impazienza o per superficialità o, più semplicemente, perché non abbiamo avuto la ventura di incontrare qualcuno che ce le indicasse). Sovente, purtroppo, chi si accosta a Savitri mostra un atteggiamento sbrigativo che non si concilia con lo spirito autentico della poesia e che ne rappresenta anzi la negazione. Oppure cerca di dissezionare il testo mediante una disamina intellettuale, trattandolo alla stregua di un testo di prosa, nei confronti del quale è sufficiente mostrare un interesse a penetrare il significato razionale del discorso. Savitri è davvero un testo iniziatico, e a chi lo accosta è richiesta una ponderata e lungimirante pazienza, capacità di introspezione e di ascolto, e — sopra tutto – una sovrana e assoluta ‘tranquillità di spirito’, per permettere al dettato mantrico di penetrare in profondità dentro di noi e di depositare i suoi semi di luce, certi che essi finiranno per produrre meravigliosi frutti. Leggere Savitri è un atto d’amore, tanto più appagante quanto più sincero e disinteressato.

Viviamo in un mondo affannoso, trepidante, in cui la fretta e l’agitazione sembrano voler contrassegnare con sempre maggiore insistenza e prepotenza il ritmo frenetico e convulsivo della nostra quotidianità. Savitri ci esorta in primo luogo a non lasciarci travolgere da quella frenesia dissociativa tipica di chi pretenderebbe ottenere risultati immediati. Entrare nell’atmosfera di Savitri, come più volte ha ripetuto Mère, significa penetrare in una dimensione nuova e meravigliosa, in quel Qualcosa d’Altro che è lo scopo della nostra ricerca. L’atmosfera di Savitri ci immerge direttamente nell’infinita e meravigliosa Presenza di Mère e Sri Aurobindo.

Buona lettura!