estratto dall’introduzione a

Perseo il liberatore
di

SRI AUROBINDO


Ogni grande poeta è un universo brulicante di galassie innumerevoli. Costellazioni esperienziali in primis, certamente, ma anche stilistiche, letterarie, culturali assai disparate. Tuttavia, se Sri Aurobindo non avesse avuto il dono supremo di fondere mirabilmente i varî metalli di cui si serviva nel fuoco di una sovrana e divina coscienza, sarebbe stato un mero eclettico, e la sua officina un deposito di fuochi d’artificio presto spenti. Invece, la sua produzione poetica offre l’oro più puro di una autentica opera d’ispirazione che, nei suoi momenti più alti, giunge a farsi pura rivelazione.

‘Perseus the Deliverer’ è, anzitutto, un fatto di eccezionale rilievo nella storia del teatro universale. Sotto il profilo dell’invenzione scenica, quest’opera appare la più ricca espressione cui sia giunta l’arte del drammaturgo. Dal punto di vista poetico, l’indiscussa maestria nell’uso del ‘blank verse’ e la fluidità del dettato drammaturgico, la rendono un autentico prodigio d’incommensurabile bellezza: molti sono i versi che vibrano di una cadenza epica, così come sommamente efficaci e calibrati sono i puri slanci lirici, nell’alternarsi (come è giusto in un’opera teatrale) a dialoghi accesi da una vitalità sanguigna e virulenta, in un susseguirsi armonico di suprema naturalezza e grazia. Mentre, sotto l’aspetto contenutistico, il testo offre una tale vertiginosa ricchezza di prospettive da contenere in sé il segreto di una perenne giovinezza capace di donare a tutti noi, in questa acuta e difficile èra di transizione in cui ci troviamo, immense suggestioni. La sua eterna attualità è quella dei più alti momenti drammaturgici della storia, da Eschilo a Kalidasa, da Shakespeare a Goethe. Come se non bastasse, gli eventi della cultura e della storia mondiale rendono sempre più attuale e viva questa intramontabile opera poetico-profetica.

La tradizione ellenica è incentrata principalmente sull’ideale della bellezza, to kalon, to eipieikes, ma le nobili creature rappresentate sono tristemente governate da un cieco Fato, e quasi sempre ciò le conduce a una tragica fine. Gli dèi greci sembrano perlopiù divertirsi nell’utilizzare gli uomini quali pedine della loro cosmica scacchiera, e di conseguenza le tragedie attiche dipingono inevitabilmente la grandezza e la fatalità dell’eroismo greco, da Prometeo, a Antigone, a Ippolito. Sri Aurobindo trasforma invece tale rapporto fra dèi e uomini in una lotta per il progresso, in cui traspare la sua visione dell’esistenza in senso evolutivo, nel cui processo l’uomo è inserito — e, aiutato da potenze superiori, avanza verso forme di coscienza sempre più idonee a manifestare la Coscienza Divina. Possiamo dunque parlare di un mito greco avvolto in elisabettiana sensibilità per quanto concerne la forma stilistica, ma il cui spirito è essenzialmente e intimamente legato alla visione del suo Autore.

Questo ‘Perseus’ è in buona sostanza il dramma corale dell’umana specie (attraverso i molti personaggi e la massiccia presenza della folla rappresentata da numerose comparse), piuttosto che di un singolo individuo, per quanto eroico: in molte scene, non a caso, il protagonista non compare nemmeno.

Notevole il tratteggio dei personaggi, che con assoluta sapienza drammaturgica offre un vero e proprio tableau vivant rappresentativo dell’intera umanità. Non mancano neppure felicissime irruzioni d’umorismo, in particolare nei personaggi di Sirea e Perisso, a fare da equilibrato contrappunto all’acuta drammaticità della vicenda.

Poesia immortale, teatro senza tempo e d’ogni epoca, ‘Perseus’ possiede la forza e la delicatezza di un verbo divino fatto carne. Attraverso questo dramma lirico, Sri Aurobindo ha infiniti tesori da offrire a noi uomini di oggi, immersi come siamo in una crisi senza precedenti, un passaggio evolutivo cruciale, affinché da ciascuna possibile interpretazione si possa trarre lo spunto informatore e riformatore di attese rappresentazioni teatrali e di ancor più attese realizzazioni concrete in quel vasto palcoscenico che è il mondo.

Moltiplicare all’infinito le indicazioni qui riportate, o trovare per proprio conto nuove luci suggestive: fa parte del gioco teatrale (‘to play’, ‘jouer’) e della fascinazione poetica condurre lo spettatore (o il semplice uditore) sull’orlo della folgorazione e lasciarlo nella nudità di un divino istante di meraviglia e d’abbandono.

Tommaso Iorco