Il regno normanno di

Erik
dramma lirico in 5 atti di
SRI AUROBINDO

(aria nuova edizioni)

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Il dramma lirico in cinque atti Erik, di Sri Aurobindo, risale al 1910 e venne ripreso in modo intermittente nel corso degli anni immediatamente successivi. Non si conosce da quale fonte Sri Aurobindo abbia attinto, ma è probabile che abbia utilizzato liberamente nomi ed eventi della storia della Norvegia appartenenti al periodo compreso fra il X e l’XI secolo dell’era volgare, periodo al quale gran parte della letteratura medioevale scandinava fece riferimento. È molto probabile che egli abbia letto, in latino e in volgare (tedesco e inglese), le varie saghe consacrate ai re islandesi-norvegesi. Nessuna di tali narrazioni, ovviamente, può svelarci il segreto della bellezza di questo dramma lirico: come di consueto, Sri Aurobindo trascende le fonti scritte e trae ispirazione da sorgenti più profonde.

Il dramma, come si è detto, si situa all’inizio dell’unificazione del regno di Norvegia. Per questo il re Erik, nei versi di apertura dell’opera, sostiene di essere il primo unificatore del paese.

Ma chi erano, anzitutto, i normanni?

I Normanni (da Northmen, “uomini del Nord”), erano un misto di popolazioni della Scandinavia, insediati in Danimarca, in Norvegia e in Svezia. Essi erano di origine germanica, dotati di una propria cultura e abituati a navigare nel mar Baltico e nel mare del Nord, anche se la maggior parte di essi non erano navigatori ma contadini. Sono chiamati anche vichinghi, nonostante tale termine indicasse le popolazioni normanne stanziate sulle coste — soprattutto al riparo dei fiordi — e dedite alla pirateria. Normanni è quindi il nome collettivo di varie popolazioni scandinave, che compirono imprese diverse tra il IX e il XII secolo.

I danesi batterono soprattutto tra IX e X secolo la costa inglese del mare del Nord, mentre gli Svedesi erano dediti al commercio tra mar baltico e mar Nero attraverso la rete fluviale della futura Russia: i guerrieri-mercanti svedesi (i variaghi), misti alle popolazioni slave autoctoni contribuirono a quella che sarebbe poi diventata la civiltà russa; i Norvegesi infine si dedicarono all'esplorazione dell’Oceano Glaciale Artico, grazie forse a un aumento delle temperature che rese possibile la navigazione nelle acque già ghiacciate, toccando tra X e XI secolo Islanda, Groenlandia e le coste del Labrador nell’attuale Canada. Dal norvegese dei coloni in Islanda nacque il norreno, la lingua letteraria delle grandi saghe nordiche.
I normanni, soprattutto danesi, si dedicarono alle scorrerie a partire dall’inizio del IX secolo. Dotati di leggere navi senza ponte e senza remi batterono le coste della Francia, dell’Inghilterra, fino alla penisola Iberica, all’Italia e alle isole del Mediterraneo occidentale, passando solo in un secondo momento all’insediamento.
Ottimi guerrieri, specializzati nel combattimenti a cavallo indossavano camicioni in maglia di ferro, utilizzavano principalmente la spada e per della loro difesa era lo scudo, progressivamente scomparso con l'avvento dell’armatura a lamine, utilizzavano l’usbergo) e con uno scudo a mandorla.

La cultura normanna, come quella di molti altri popoli migratori, era particolarmente versatile e aperta al nuovo. Per un certo periodo, questa caratteristica li portò a occupare territori europei fra loro eterogenei. Dopo l’insediamento in Normandia (910), nell’XI secolo si riversarono in Inghilterra (1066), in Francia e nell’Italia meridionale, costituendo il ducato di Puglia con gli Altavilla e nel 1130 il regno di Sicilia. I normanni passarono così a occupare l’odierna Normandia (regione della Francia settentrionale che da essi prese il nome) a partire dall’ultimo quarto del IX secolo. Nel 911, Carlo il Semplice, re di Francia, concesse agli invasori un piccola porzione di territorio lungo il basso corso del fiume Senna, che andò poi espandendosi, diventando il ducato di Normandia. Gli invasori erano guidati dal principe norvegese (che guidava però dei danesi) Hrolf, latinizzato in Rollone, che strinse un’alleanza con Carlo.

I normanni si stabilirono con successo anche lontano dalla Normandia. Quasi contemporaneamente alla conquista dell’Inghilterra, gruppi di normanni si diressero verso il sud Italia (1000-1016). Ruggero II, nominato re di Sicilia e duca di Puglia e di Calabria nel 1130, estese il dominio normanno in Italia meridionale con la conquista del Ducato di Napoli (1137) e, con le Assise di Ariano (1140), conferì al suo Regno un’organizzazione feudale rigidamente gerarchica e strettamente legata alla persona del sovrano. Il dominio dei normanni nell’Italia meridionale ebbe termine tra il 1194 (morte di Tancredi di Lecce) e il 1198, quando Enrico VI di Svevia, Imperatore del Sacro Romano Impero (morto nel 1197), in virtù del suo matrimonio con Costanza d’Altavilla (morta nel 1198), unì alla corona imperiale quella di re di Sicilia.

La letteratura normanna venne trasmessa per lo più oralmente e le nostre conoscenze al riguardo sono principalmente basate su testi medioevali compilati successivamente all’introduzione del cristianesimo, quando alcuni eruditi hanno recuperato e messo su carta frammenti più o meno corposi di quella grande tradizione orale, dando vita alle grandi saghe nordiche. Il testo più importante proveniente (sia pur indirettamente) dalla tradizione normanna è senza alcun dubbio l’Edda poetica opportunamente citato nella stessa introduzione del libro.
L’Edda poetica (anche nota come Edda in poesia, oppure Edda antica o ancora Edda maggiore) è una raccolta di poemi in norreno, tratti dal manoscritto medioevale islandese Codex Regius. Insieme alla Edda in prosa di Snorri Sturluson (meglio conosciuta semplicemente come Edda di Snorri), l’Edda poetica rappresenta la più importante fonte di informazioni a nostra disposizione sulla mitologia norrena e sulle leggende degli eroi germanici.
L’Edda poetica è in versi legati da allitterazione. La maggior parte dei poemi dell’Edda sono certamente nati dalla tradizione dei menestrelli medioevali e tramandati oralmente. Di nessuno di esse è stato possibile individuare uno specifico autore.
I ventinove canti che compongono l’Edda poetica, di differente antichità e provenienza, possono essere divisi più o meno in due categorie: i primi dieci canti sono di argomento sapienziale-mitologico e riguardano le imprese degli dèi; i seguenti diciannove sono di argomento eroico, incentrati — tranne il primo, il Carme di Völundr - sulle gesta degli eroi dei Völsunghi, fra cui spiccano Helgi e Sigur.
Presenti solamente in manoscritti recenti rispetto al Codex Regius, non anteriori al XVII secolo, sono, invece, altri due carmi eddici: Grógaldr (“Incantesimo di Gróa”) e il Fjölsvinnsmál (“Il lamento di Fjölsvidhr”), editi normalmente assieme col nome di Svipdagsmál (“Il lamento di Svipdagr”). Quest’ultimo è un poema simbolico che presenta varie similitudini con un canto canonico dell’Edda poetica, noto come Skírnismál (“Il discorso di Skírnir”).
A questi canti, contenuti nel manoscritto del Codex Regius, possono essere aggiunti altri canti mitologici, di diversa provenienza, a cui ci si riferisci in genere come Edda minore.
Uno dei canti più ispirati e potenti è indubbiamente quello della “Visione della Voluspa”, ben tratteggiato nell’introduzione del libro. Offriamo qui i versi conclusivi (in originale e nella traduzione poetica approntata da Tommaso Iorco, in endecasillabi e senari), incentrati sulla fine dei tempi (il mitico Ragnarok) e la nascita di un nuovo mondo materiale, completamente rinnovato —

Sól tér sortna,
sigr fold í mar,
hverfa af himni
heiar stjörnur;
geisar eimi
ok aldrnari;
leikr hár hiti
vi himin sjalfan.

S’ottenebra il sole
e la terra nel mare s’inabissa,
dal cielo scompaiono
le stelle rilucenti della volta.
Sussurra il vapore
con quel che alimenta l’esistenza,
la vampa s’innalza
con il medesimo infinito azzurro.

Geyr Garmr mjök
fyr Gnipahelli,
festr mun slitna,
en freki rinna,
fjöl veitk fræa,
framm sék lengra
of ragna rök,
römm sigtíva.

Feroce Garmr latra
dinanzi a Gnipahellir maestoso:
i lacci si spezzano
e il lupo è destinato a scorrazzare.
Conosce le scienze
lei, d’ogni tipo: scorgo da lontano
il fato di Dei,
le possenti deità della vittoria.

Sér hon upp koma
öru sinni
jör ór ægi
ijagræna;
falla forsar,
flgr örn yfir,
sás á fjalli
fiska veiir.

Lei scorge affiorare
per l’ennesima volta e senza fine
la terra dal mare
nuovamente fiorita e verdeggiante.
Fluiscono i fiumi
e l’aquila dall’alto osserva tutto,
colei che dai monti
scende in picchiata e cattura i pesci.

Finnask æsir
á Iavelli
ok of moldinur
mátkan dæma,
ok minnask ar
á megindóma
ok á Fimbults
fornar rúnar.

Si trovan gli Æsir
nell’incantato regno di Iavöllr,
col serpe che cinge
l’intero mondo, possente; ragionano,
e là risovvengono
le grandi imprese compiute nel tempo,
e pure di Fimbultr
le antiche rune magiche e segrete.

ar munu eptir
undrsamligar
gollnar töflur
í grasi finnask,
ærs í árdaga
áttar höfu.

E lì nuovamente
meravigliose giacciono distese
le auree scacchiere
nell’erba brillante.
Erano proprio quelle che in passato
avevan creato.

Munu ósánir
akrar vaxa;
böls mun alls batna
mun Baldr koma;
búa Hör ok Baldr
Hropts sigtoptir
vel valtívar,
vitu ér enn ea hvat?

I campi fioriscono
da soli, senza semi né fatica;
guarisce ogni male,
e finalmente Baldr farà ritorno.
Con Hör cingerà
le vittoriose rovine di Hroptr,
felici re-dèi.
Che altro tu sei in grado di sapere?

á kná Hænir
hlautvi kjósa
ok burir byggva
bræra tveggja
vindheim vían.
Vitu ér enn ea hvat?

Hœnir allora
sceglierà l’aspersorio personale,
i figli vivranno
dei due fratelli, felici, nell’ampia
regione del vento.
Che altro tu sei in grado di sapere?

Sal sér hon standa
sólu fegra,
golli akan,
á Gimléi;
ar skulu dyggvar
dróttir byggva
ok of aldrdaga
ynis njóta.

Lei vide una corte
levarsi, più magnifica del sole,
vestita di oro,
sul puro Gimlé.
In questo luogo abiteranno insieme.

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