Dante Alighieri

(1265 - 1321)


 Dante.jpg


Each of the greatest poets [Homer, Shakespeare, Valmiki, Vyasa]
is a sort of poetic demiurge who has created a world of his own.
Dante’s triple world beyond is more constructed
by the poetic seeing mind than by this kind
of elemental demiurgic power —
otherwise he would rank by their side.

SRI AUROBINDO


Paradiso, Canto I [I-81]

La gloria di Colui che tutto move
per l’universo penetra e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là su discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant’io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro
sarà ora matera del mio canto.
O buono Apollo, a l’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro.
Infino a qui l’un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l’ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
venir vedra’mi al tuo diletto legno,
e coronarmi allor di quelle foglie
che la matera e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per triunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l’umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deità dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca facilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce quasi, e tutto era là bianco
quello emisperio, e l’altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta a riguardar nel sole:
aquila sì non li s’affisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pellegrin che tornar vuole,
così de l’atto suo, per li occhi infuso
ne l’imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.
Molto è licito là; che qui non lece
a la nostra virtù, mercé del loco
fatto per proprio de l’umana spece.
Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch’io nol vedessi sfavillar d’intorno,
com ferro che bogliente esce del fuoco;
e di subito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d’un altro sole adorno.
Beatrice tuta ne l’etterne rota
fissa con gli occhi stata; ed io in lei
le luci fissi, di là su rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fe’ Glauco nel gustar de l’erba
che ’l fe’ consorto in mar de li altri Dei.
Trasumanar significar per verba
non si poria; però l’essemplo bast
a cui esperienza grazia serba.
S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ’l ciel governi,
tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del ciel acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece mai tanto disteso.


Sri Aurobindo’s remarks:

«Dante’s theology, though it has the advantage of the great richness of import and spiritual experience of mediaeval Catholicism, is still intellectually insufficient, but through his primitive symbols Dante has seen and has revealed things which make his work poetically great and sufficient.»

«The “forceful adequate” might apply to much of Dante’s writing, but much else is pure inevitable; elsewhere it is the inspired style as in the last lines quoted.

Sì come quando Marsia traesti
De la vagina de le membra sue.

I would not call the other line merely adequate; it is much more than that.

E venni dal martirio a questa pace.

Dante’s simplicity comes from a penetrating directness of poetic vision, it is not the simplicity of an adequate style.»

«Dante is, I think, the perfect type of austerity in poetry, standing between the two extremes and combining the most sustained severity of expression with a precise power and fullness in the language which gives the sense of packed riches — no mere bareness anywhere.»

«Poetry can be great or perfect even if it uses simple or ordinary expression — e.g. Dante simply says “In His will is our peace” and in writing that in Italian produces one of the greatest lines in all poetic literature.

E ’n la sua volontade è nostra pace.»

«Dante has the epic spirit and tone, what he lacks is the epic élan and swiftness.»

«As regards Beatrice, I have never thought about the matter. Outwardly, it was an idealisation, probably due to a psychic connection of the past which could not fulfil itself in that life. But I do not see how his conception of her gives him his excellence — it was only one element in a very powerful and complex nature.»

«A religious fervour or metaphysical background belongs to the mind and vital, not to a mystic consciousness. Dante writes from the poetic intelligence with a strong intuitive force behind it.»

«There are deficiences if not failures in almost all the great epics, the Odissey and perhaps the Divina Commedia being the only exception, but still they are throughout in spite of them great epics.»


Paradiso, Canto XXXIII [55-145]

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar nostro, ch’a tal vista vede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual è colui che somniando vede,
che dopo il sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, ed ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso de la luce etterna,
tanto che la veduta ci consunsi!
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna;
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché di più largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa,
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faciesi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;
però cheil ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei; e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante;
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvemi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che sì concetta
pareva in me come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nsotra effige;
per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
Qual è ’l geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e il velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.


uffiziDante.jpg