IL COMPITO CREATIVO DELL’ATTORE

(a cura della compagnia teatrale aria nuova)

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Queste note, dal carattere volutamente frammentario,
sono state concepite ad uso della compagnia teatrale
aria nuova, la quale si è sempre posta
volutamente al di fuori del moribondo
e avvilente scenario del teatro borghese
(pagandone le conseguenze, poiché
chi si pone al di fuori viene escluso dal giro),

non accettando peraltro etichette di alcun tipo.
Tali pagine vengono date da leggere agli attori

prima di iniziare a lavorare con noi, per farsi
un’idea di massima del nostro modo di concepire
l’impegno attoriale, a guisa di dissuasione.
Le proponiamo qui
 come una sorta di presentazione

— o di glossa — del nostro modo di fare teatro.

I

«Non mi parlate di sentimenti, non possiamo fissare
i sentimenti. Possiamo fissare e ricordare
solo le azioni fisiche» K. S. Stanislavskji.

Se l’attore è un artista, e non soltanto un artigiano, allora deve assolvere i compiti creativi che ogni arte richiede.

La creatività necessita anzitutto una disposizione particolare, uno stato creativo: occorre cioè sentirsi ispirati. Tuttavia, sappiamo bene che l’ispirazione non è ottenibile su comando — è un dono delle Muse e, come tale, sottomesso al loro capriccio. Il fatto è che l’attore, diversamente dagli altri artisti, non può sedersi e attendere l’ispirazione per poter creare — ecco dunque il suo problema principale: è possibile evocare in sé le condizioni che facilitino l’irrompere dell’ispirazione? …Domanda antica quanto la stessa arte attoriale.

Ogni attore cerca di dare una risposta pratica a tale quesito, in un modo o nell’altro. Così, quando non ci si sente toccati dal tanto agognato stato di grazia, taluni ricorrono al ‘mestiere’ (vale a dire a tutta una serie di stereotipi), altri fanno appello al loro istinto istrionico (ma anch'esso ha i suoi limiti, soprattutto se disgiunto dalla stessa ispirazione), altri ancora si affidano a determinate tecniche che tentano di evocare i ‘sentimenti’ del personaggio.

Noi riteniamo che per creare qualcosa di effettivo valore artistico, sia necessario partire da una base più profonda: vale a dire, dalla verità interiore.

II

«L’attore deve avere lo stesso senso di equilibrio
di un funambulo»
 V. Mejerchold.

Tutti i più grandi attori hanno una capacità di controllo del loro complesso psico-fisico al di sopra del comune; essi non sembrano recitare, sembrano vivere nel proprio ambiente con la massima naturalezza. Inoltre, i più grandi tra loro possiedono un senso dell’equilibrio per certi versi sorprendente, sebbene in tale àmbito una precisazione si riveli quanto mai opportuna. Bisogna infatti distinguere tra un equilibrio statico, tipico di quegli esseri umani che, alla maniera dei fossili, si barricano in una costruzione solidissima (di cemento o di cristallo, a seconda dei casi) e che difficilmente potrà essere scossa, e un equilibrio dinamico, che è quello a cui un attore dovrebbe invece tendere, vale a dire un equilibrio organico, a diretto contatto con la vita, in cui ogni costruzione (se proprio necessaria) dovrà essere sentita come una stampella provvisoria, giacché la sola vera base inamovibile è da ricercarsi nel nostro sé più intimo e più vero, uno con tutti gli esseri.

È di fondamentale importanza, perciò, il coraggio di sapersi mettere sempre in gioco, correndo continuamente il rischio di perdere l’equilibrio per poterne trovare di nuovi e di più efficaci. L’equilibrio del vero artista, infatti, non ha nulla a che vedere con la stagnazione di quanti si siedono comodamente su una qualche verità e vi marciscono. Insomma, sono assai più vicini al nostro ideale d’equilibrio un Molière o un Dario Fo, che non i rappresentanti del potere costituito che si sono accaniti contro di loro (non è un caso, d’altronde, che per lungo tempo l’attore venisse sepolto in terra sconsacrata: l’eresia è la sua vera vocazione, ed è un peccato che tale usanza sia stata dismessa). Per farla breve, diciamo che l’equilibrio dinamico sta a quello statico come la ricerca disinteressata della verità sta al dogma.

III

«Il corpo deve liberarsi da ogni resistenza,
deve praticamente cessare di esistere. […]
Bisogna darsi in modo totale, nella propria
intimità più profonda, con fiducia»
 J. Grotowski.

Nella pratica, occorre innanzi tutto individuare i propri punti deboli. Ogni attore ha, in maggiore o minore misura, qualche resistenza nel proprio corpo (così come nelle altre parti della sua natura), qualche rigidità che ostacola il processo creativo. È quindi necessario allenarsi praticando alcuni esercizi psicofisici appositamente studiati allo scopo, che costituiranno la base per individuare e sciogliere le proprie tensioni, conferire una necessaria plasticità al corpo, prevenire il processo di irrigidimento fisico, stabilire il centro di gravità nella zona pelvica, coltivare la sensibilità dei sensi fisici, affinare la percezione dell’energia vitale che scorre nel corpo e rimuovere eventuali blocchi energetici, acuire la sensitività nei confronti degli impulsi naturali del corpo, approfondire sperimentalmente il rapporto tra tensione e distensione muscolare, tra corpo e voce, tra azione fisica e sentimenti, — il tutto per imparare a superare i propri limiti fino a “toccare l’impossibile” (vale a dire, abbandonare le vecchie convenzioni e trovare un equilibrio progressivo e un nuovo modo di esprimersi).

Il corpo di un attore deve diventare uno strumento plastico e ricettivo nelle mani della coscienza più alta, un canale duttile e sensibile, un ricettore e diffusore di influssi provenienti dalle sfere più sottili (il fisico sottile, lo psichico, i piani del vitale e quelli del mentale); occorre insomma ri-creare il proprio corpo dall’interno. Tutto ciò, ovviamente, non è il processo creativo vero e proprio, ma ne costituisce un preludio ideale (oltretutto, con l’ausilio dell’improvvisazione, l’allenamento potrà favorire lo sviluppo della imprescindibile coralità del gruppo).

Si tratta di un lavoro progressivo, ove ad ogni stadio ci si troverà di fronte a nuovi problemi da risolvere, nuovi ritmi ai quali accordarsi. Gli esercizi elaborati da grandi uomini di teatro (Dullin, Delsarte, Copeau, Stanislavskji, Mejerchold, Craig, Vachtangov, Michael Cechov, Boleslavskij, Strasberg, Grotowski), così come alcune tecniche di allenamento del teatro orientale (giapponese e indiano in particolare), possono servire allo scopo, ma è importante capire come tale lavoro non sia affatto teso ad aumentare il ‘savoir-faire’ scenico, bensì ad aiutare l’attore a eliminare le resistenze insite nel suo organismo nello svolgimento del compito creativo. Pertanto, non si tratta di un processo di accumulazione, bensì di eliminazione (disimparare le cattive abitudini, ripulire il terreno da tutte le sedimentazioni accumulate), che trova il suo coronamento ideale in una denudazione totale. È quello che il celebre attore giapponese Zeami Motokiyo (vissuto nel XV secolo e considerato il fondatore del teatro nô) definiva myoka fu, ‘il fiore del meraviglioso’, il nono e più alto grado nella scala dell’espressione teatrale, in cui, per usare le sue parole, «a mezzanotte il sole splende», che è un modo poetico per illustrare il fenomeno della trasluminazione attoriale. È il lavoro di tutta una vita, che l’attore — l’attore interiormente orientato, s’intende — può avere il privilegio di intraprendere, creando un ponte ideale tra la sua ricerca intima e la sua vita esterna.

IV

«Tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere» B. Brecht.

C’è poi un altro problema, connesso all’uomo in quanto essere pensante. Se osserviamo un gatto, notiamo che ognuno dei suoi movimenti è organico. Questo perché nel gatto non c’è una mente discorsiva invadente a fare da ostacolo all’azione spontanea. Tale organicità può esistere anche nell’uomo (i bambini la possiedono), ma è quasi sempre bloccata da una mente che ha invaso l’intera coscienza e, come un despota, vuole dominare ogni cosa. Anche il nostro organismo fisico è sotto la sua tirannia — da ciò deriva un modo di rapportarsi al proprio corpo che è sconnesso, disarmonico. Perché un uomo possa arrivare a trovare una nuova euritmia, occorre che intraprenda quel “lavoro della discesa” nelle stratificazioni mentali che sono venute a sovrapporsi, nel corso dell’evoluzione, sulla propria fisicità: silenziare la membrana intellettuale (così, il diderottiano “paradosso sull’attore” trova forse la sua giustificazione), pacificare la mente emotiva e vitale, chiarificare la mente sensoriale, cercando di trovare la più genuina organicità del corpo [sottolineiamo anche di sfuggita la comune radice etimologica tra i termini greci organon — da cui “organicità” deriva — e orge, quest’ultimo connesso ai riti iniziatici degli antichi Misteri, che Nietzsche pone come probabile scaturigine del teatro].

La teoria delle emozioni sviluppata da William James sostiene che le emozioni scaturiscono da un qualche riconoscimento di certe condizioni corporee che sono esse stesse una risposta a talune emozioni. È ormai da tempo riconosciuta l’importanza dell’effetto che la mente può esercitare sul corpo (origine, per esempio, di tutta una serie di disturbi di carattere per l’appunto psicosomatico), ma non è ancora stato studiato sufficientemente l’enorme effetto che il corpo esercita sulla mente e le emozioni. Effetto che l’attore del futuro, l’attore-eretico secondo la definizione che noi amiamo dare (un attore cioè in cerca di un’altra via, diversa da quella dell’attuale teatro, occidentale od orientale), non può ignorare.

V

«Gli attori devono essere come dei martiri,
che mentre vengono bruciati vivi, ci lanciano ancora messaggi dai roghi»
 A. Artaud.

La linea delle azioni fisiche diventa per l’attore ciò che la partitura è per un musicista. Se troviamo in noi la sorgente dell’impulso e dell’organicità, le nostre azioni si fanno naturali, e l’intero essere risponde opportunamente, senza ricorrere a trucchi del mestiere, senza pompare artificiosamente stati emotivi. Come diceva spesso uno dei pionieri di questa ricerca, Stanislavskji (che ammiriamo ma al quale non ci ispiriamo affatto, non accettando di essere seguaci di alcuna scuola e, ancor meno, di un ‘sistema’, cosa che ci ripugna fin dal termine), «la piccola verità delle azioni fisiche mette in moto la grande verità dei sentimenti».

A scanso di equivoci, approfittiamo per precisare che nutriamo una decisa avversione per le etichette, quali che siano. Spesso ci viene chiesto se facciamo “teatro di sperimentazione”, la qual cosa ci lascia alquanto perplessi: non è forse ogni vera arte una creazione di qualcosa al di là del noto? In tal caso, come si può creare senza sperimentare, o ancor più senza sperimentarsi? Come disse Orson Welles nel corso di un’intervista sul teatro, «ringrazio Dio per l'esistenza del cinema, sebbene il mio mondo sia il teatro. Spero che il teatro sia sempre in pericolo di morte. È la sua unica speranza. È il nostro invito a sperimentare». Allo stesso modo, ci sentiamo a disagio quando cercano di incasellarci, e così, quando noi rispondiamo — di fronte alla domanda se il nostro è “teatro di parola” o “teatro d’azione” — che non è né l’uno né l’altro, immancabilmente il nostro interlocutore ci guarda come se stessimo cercando di giocare con le parole e stupirlo con dei paradossi. Ma coloro che fanno “teatro di parola”, si limitano a citare (o re-citare) testi mandati diligentemente a memoria come tanti scolaretti beneducati (rimandiamo al gustoso sberleffo di Carmelo Bene contro questo modo di intendere l’arte attoriale, che è poi quello praticato dalla stragrande maggioranza degli attori del teatro ‘ufficiale’), mentre i sostenitori del “teatro d’azione” confondono l’agitazione con l’azione scenica, cercando magari di ingenerare isterie collettive.

Per noi, il compito dell’attore non consiste nel ‘recitare’, bensì nel fare, to play, jouer. Ma per agire in modo vero, organico, naturale, non basta saper compiere un gran numero di gesti e movimenti — dobbiamo scoprire gli impulsi da cui ogni azione principia, trovare la giusta tensione ogni qualvolta ‘in-tendiamo’ compiere un movimento, in modo che la più piccola azione fisica assuma un’importanza enorme agli occhi dello spettatore. Per noi, inoltre, in teatro la parola deve essere innanzitutto poesia (come fu per i grandi drammaturghi greci, latini e sanscriti, e anche per Shakespeare, per Goethe, per Molière), e l’attore non è solo uno strumento del verbo poetico, ma deve imparare a incarnare il logos con la totalità delle proprie facoltà espressive, al punto che il suo stesso corpo si fa arte. In sintesi, in teatro deve attuarsi una perfetta unione tra logos e aloghìa, tra comunicazione verbale e non verbale, entrambi condotti ai massimi vertici possibili.

L’attore dovrà anche imparare a irradiare la propria forza vitale, poiché è questa virtù, alla fin fine, che rende un attore carismatico. Questa capacità dovettero possedere in sommo grado attori del calibro di David Garrick, Eleonora Duse, Tommaso Salvini, Riszard Cieslak. Non dimentichiamoci infatti l’assunto di partenza, e cioè che l’attore crea in pubblico, il quale a sua volta partecipa all’atto creativo e, in una qualche misura, lo determina — ignorare questo fatto equivale a trincerarsi in una fredda rappresentazione del tutto priva di vita (esattamente come accade oggi nei “grandi teatri ufficiali”, ragion per cui assomigliano sempre più a dei forni vuoti). Il vero attore è sovente paragonato a un iceberg, di cui si vede soltanto la parte emergente, che è la più piccola, ma di cui si sente il peso di una enorme potenza creativa sommersa.


Avendo utilizzato un disegno di Dario Fo in apertura dell'articolo, vorremmo approfittarne per offrirgli un piccolo tributo con qualche links ad alcune fra le sue migliori giullarate, tratte dal Mistero Buffo...
Il 22 aprile 1977, Dario Fo, con la moglie Franca Rame, torna in televisione (su Rai 2) per un ciclo chiamato "Il teatro di Dario Fo". La serie, e in particolare Mistero Buffo, attirò l'attenzione del Vaticano che, per bocca del cardinale Poletti, reagì molto duramente al linguaggio di Dario Fo, etichettandolo come trasgressivo... Linguaggio dimostratosi poi degno del Premio Nobel per la Letteratura!
Notare, nel video, la straordinaria fisicità di uno dei più grandi teatranti del Novecento.

LA RESURREZIONE DI LAZZARO

 

 

E l'ancora più irresistibile

BONIFACIO VIII

 

 

Questa giullarata su YouTube purtroppo è incompleta: consigliamo perciò di guardare quest’altro spezzone, in cui Dario rappresenta un improbabile incontro fra Bonifacio VIII e Gesù:

"PIETRO, SU QUESTA PIETRA"...